OVER THE LIMES to explore Scottish Highlands

Old Man of Storr

(foto: Yuri Santini; testo: Matilde Peterlini)

Agosto 2015: viaggio da Baisi di Terragnolo fino alle leggendarie Highlands nord-occidentali e all’Isola di Skye che naviga in un mare di nubi e Oceano. Partiamo senza una meta precisa, un po’ allo sbaraglio, per scoprire luoghi che non avremmo potuto immaginare.

Colonna sonora:

Old Man – Neil Young: https://www.youtube.com/watch?v=SYUgGs9IStY

Iron Sky – Paolo Nutini: https://www.youtube.com/watch?v=ELKbtFljucQ

Stand over the Horizon – Franz Ferdinand: https://www.youtube.com/watch?v=2iUfn5vJI7Q

 

La Scozia è davvero “oltre il limes“.

Non è un gioco di parole, non è una coincidenza, quel muro antico di quasi 2.000 anni costruito dall’imperatore romano Adriano segna davvero un confine, un punto di svolta, al di là del quale qualcosa cambia fin da subito e sempre di più procedendo col viaggio.

A mano a mano che si segue la Stella Polare tutto si spoglia, si semplifica.

Le strade si restringono, gli spazi si amplificano, scompaiono città, case, alberi, supermarket, negozi, distributori, il segnale telefonico… scompare tutto, ma non manca nulla… c’è l’essenziale: la terra, l’acqua, il vento, la roccia, il Sole.

Non resta nulla di superfluo e l’haggis, l’insaccato fatto di interiora di pecora, ne è l’emblema.

Si aprono distese sconfinate di torba ed erba bagnata, disperse tra infiniti monti dalle forme bizzarre e punteggiate di loch rilucenti allo sbucare del sole. Rocce insolite spiccano tra nubi vaste e piatte, che si fondono e confondono con l’immenso e selvaggio Oceano. Ci si sente costantemente ad alta quota, ma l’Oceano è lì, che canta, a poca distanza, perlustrato dalle sule, accarezzando con forza scogliere imponenti e bianchissime spiagge dall’apparenza tropicale, vicino alle quali pascolano, tra l’erika fiorita, beate e belanti pecore.

Silenzi incessanti scanditi dal vento e dall’acqua sono l’unica profonda voce che sussurra solo il necessario.

C’è qualcosa di ancestrale che svuota la mente e la nutre di questi spazi infiniti e spogli e di questo insistente, piacevole e libero vento.

Cosa avrà pensato Adriano?

Cosa passa nella mente dell’Old Man?

 

16 agosto 2015 – A hard journey

Partiti, 8 del mattino circa… non sappiamo bene per dove…

In auto 3 guide turistiche: Finlandia, Irlanda e Scozia, la seconda ha maggiori % di scelta. Tra i Baisi di Terragnolo e Innsruck scartiamo la Finlandia e viriamo a nord-ovest. Non sappiamo nemmeno se abbiamo preparato il bagaglio giusto e, comunque sia, non siamo informati su cosa andare a vedere o fare: partiamo allo sbaraglio!

Innsbruck: sarà Irlanda… poi inizia il Calvario: Fernpass in Austria e tutta la Germania costellate di code inspiegabili e lavori stradali che ci fanno tardare più di tre ore. Per me è la “catarsi” verso le ferie, per Yuri, che guida, sono “Ostie e Madonne”. Dovremmo arrivare a Calais tra le 24.00 e le 1.00: poco male, passare la Manica di notte costa meno. Scopriamo però che il prezzo dell’Eurotunnel arriva al doppio se non lo si prenota! Perciò optiamo per il traghetto, che costa come l’Eurotunnel prenotato (e ha comunque un prezzo non indifferente). Nel tragitto dal tunnel al porto ci imbattiamo in un gruppo di migranti: sembrano tranquilli e spaesati, camminano lungo la strada a doppia corsia, non lo sono altrettanto i poliziotti francesi in tenuta antisommossa, tutti agitati sul loro furgone. I migranti invece non hanno nulla, non una borsa, non uno zaino, solo quello che portano addosso: scure ombre nella notte cercano silenziosi il “mare color del vino” della Manica.

Imbarco ore 2.40, faccio in tempo a schiacciare un pisolino… Yuri invece è sveglio come un lucherino e inkazzato nero per il traffico e per l’opzione traghetto che odia. E non ha tutti i torti: ormai sul traghetto ci va solo chi non può permettersi l’Eurotunnel! La nave puzza di stantio, la pelle dei divani è straslucida e appiccicosa. Mi appoggio a Yuri, sempre lucherino, e piombo in un sonno profondo.

Ore 4.30, in UK 3.30: sbarcati! Primo approccio con la guida a sinistra: per fortuna che è notte e a Dover e Folkestone, dove arriviamo poco dopo, non c’è in giro nessuno. Ampia perlustrazione per individuare un luogo adatto per parcheggiare, montaggio della suite nel bagagliaio della mitica Dacia Lodgy (detta Arcadia) e nanna.

 

17 agosto 2015 – Littlehampton, Little Yuri

Yuri mi sveglia all’alba dal mio sonno profondo. Sapevamo di essere nel parcheggio di un club privato, non ci aspettavamo di trovarci davanti il classico pratino all’inglese degli sport da ricchi britannici! Ma non siamo gli unici, di fianco a noi altri due hanno dormito in un furgone. Alla nostra sinistra le bianche scogliere di Dover.

Attraversiamo Folkestone deserta, ci procuriamo delle sterline e imbocchiamo l’autostrada. Fermata al primo autogrill con cappuccino medio (ben 3 volte quello italiano!) e muffin triplo cioccolato (schifosamente buono!). Una cosa è certa: vista l’esperienza di ieri, basta traghetti, sarà Scozia!

Chiedo a Yuri se vuole fare un giro a Littlehampton dove aveva vissuto per tre anni fino al 1992. Inizialmente dice di no, poi lo vedo trafficare col navigatore… due ore dopo siamo lì. In principio Yuri non riconosce i posti, si sforza di cercare, poi ricorda e si addolcisce… Facciamo un giro nei luoghi che frequentava, in parte cambiati, e finiamo per mangiare Tuna Roll, il suo panino preferito all’epoca, davanti alla Manica, tra le grida inconfondibili dei gabbiani del nord, nella tranquillità che essa regala con le sue ampie spiagge e maree.

Auto verso nord, ma ricomincia il Calvario del traffico, soprattutto in prossimità delle grandi città. Di nuovo “Ostie e Madonne” di Yuri e io sprofondo nella pura catarsi!

Verso sera tra Galles e Scozia il traffico cede e il panorama si apre su dolci pascoli ondulati illuminati dalla luce radente del sole: stupendo!

Dimentichiamo ogni fatica, ma siamo cotti. Appena passati in Scozia ci parcheggiamo in un autogrill, corrompiamo il commesso con una buona dose di simpatia italiana per pagare di meno il parcheggio e buonanotte…

 

18 agosto 2015 – Scottish Limes

Sveglia ore 5.00, vista l’esperienza di ieri, vogliamo evitare di trovare traffico vicino a Glasgow. Colazione e tappa bagno nell’autogrill ancora dormiente e semideserto, che però offre davvero tutto il necessario (compresi spazzolini da denti di fortuna) e poi su ancora verso nord. Passiamo Glasgow indenni e… da qui in poi comincia il bello: il Limes è alle nostre spalle già da un po’, l’autostrada svanisce, il traffico sfuma, la strada si stringe e diventa un budello; ma attorno a noi la natura si apre come un ventaglio, la ruota di un pavone che svela, dietro ogni piega, luoghi semplicemente splendidi.

Costeggiamo Loch Lomond, il loch più grande della Scozia, con le sue acque placide e argentee alla prima luce del mattino. Ci inerpichiamo fino a sbucare a Rannoch Moor e Glen Coe, una distesa di loch e prati che sfumano alle pendici di montagne gibbose. E’ Campo Imperatore sommato al Pian Grande e moltiplicato all’ennesima potenza. L’immensità, la luce di questi luoghi smuovono qualcosa nella mente e nel cuore, che si esterna con lacrime calde…

Sfioriamo Fort William e l’Eilean Donan Castle dirigendoci con decisione, ma con numerose fermate di stupore, verso uno dei nostri obiettivi: l’isola di Skye, un diamante spigoloso incastonato tra le nubi che fluttua sul selvaggio Oceano.

Puntiamo dritti al paese principale: Portree, un pugno di case colorate e bianche su una baia, piccola ma piena di turisti. In realtà, non appena si esce da essa, essi si disperdono e, sebbene si dica che Skye in agosto sia piena, siamo ben lungi dalle siagge di Rimini. I più “cittadini” non si fermano e tornano nelle dimore signorili del sud della Scozia. In giro invece puoi incontrare qua e là qualche cammmiatore o campeggiatore, anche in piccoli gruppi,  per lo più giovane, dotato di zaino caricato in maniera improbabile e di abbigliamento e calzture discutibili, ma decisamente pronto a vivere l’avventura “into the wild” piantando rigorosamente la tenda nel posto più ventoso, ma col panorama più mozzafiato (qui il campeggio è libero, ma notiamo con stupore che tutto è rispettosamente pulito). A Portree raccogliamo qualche informazione e la mappa dell’isola, infine cediamo alle lusinghe di Fish and Chips presso il porto.

Proseguiamo esplorando la punta nord dell’isola. Passiamo sotto l’Old Man of Storr studiando la strategia per l’alba del giorno successivo. Kilt Rock ci offre la sorpresa di una cascata che si getta a capofitto dalle montagne all’Oceano accompagnata da musica scozzese suonata da un tizio in kilt e cornamusa, unico esemplare avvistato in tutto il viaggio, vicino a un cartello illustrativo sulle impronte dei dinosauri. Poi un salto a Quiraing, quindi a Duntulm Castle dove passeggiamo sulla spiaggia di grossi ciottoli basaltici e visitiamo le suggestive rovine del castello, infine curiosiamo le case tradizionali nel vicino Skye Museum of Island Life.

Chiudiamo la giornata con una vista della costa continentale della Scozia immersa tra le nubi alla luce del tramonto e lì dormiamo, sognando lo splendore che ci circonda (non potremmo desiderare nulla di più).

 

19 agosto 2015 – Old Man

Sveglia ore 4.00 e salita all’Old Man of Storr per fotografare l’alba. C’è appena un po’ di luce. ci inerpichiamo veloci lungo la ripida erta nel’aria fresca, mentre la luce del Sole spinge tra le nubi dietro la costa continentale della Scozia. L’Oceano è diventato un mare di nuvole che prendono la forma delle onde stesse. I loch sono specchi immobili e i prati si tingono di verde intenso a mano a mano che il Sole li accarezza.

L’Old Man tentenna spingendosi verso la luce dell’alba quasi a voler scaldare le sue vecchie ossa nel tepore dei primi raggi. La luce, prima tenue, diventa color albicocca e poi sempre più forte fino a disegnare nitide ombre.

Ci spostiamo su, la montagna (the Storr) chiama e insinua nella mente la voglia di vedere cosa c’è al di là. Il versante è scosceso e salendo si sbuca più volte su pareti spaventosamente a picco. Il pendio è sempre più ripido, prima della cima si è costretti a metter giù le mani su rocce ed erba. Poi… la vetta: si sbuca su un ampio prato piatto e verdissimo, rasato all’inglese dalle pecore! Il contrasto con le pareti a strapiombo è netto: sembra una presa in giro, ma la vista è stupenda, su tutta Skye, le Ebridi e le Highlands.

Scendiamo: siamo senza colazione e stanchissimi. Passiamo proprio sotto l’Old Man, che pare tutto concentrato sul suo inspiegabile equilibrio, e il piccolo loch lì accanto, mentre le pecore ci guardano curiose, e in tarda mattinata raggiungiamo un camping vicino a Portree. Abbiamo bisogno di riposare, fare una doccia e ricaricare le batterie (le nostre e quelle delle macchine fotografiche).

Nel pomeriggio piove. Yuri, dopo aver riposato un po’ comincia a fremere: “E se adesso esce il Sole? Sai che foto? Dobbiamo prepararci in un buon posto…”. E così ripartiamo: obiettivo Point Niest. Vaghiamo nella pioggia verso Dunvengan, incontriamo paesaggi fatti di pascoli, disseminati di rade casette bianche dal tetto grigio e di pecore bianche, più o meno pelose, con le orecchie corte; pecore con il muso nero e le corna storte, involontariamente sataniche; incroci tra le due; vacche; vacche fulve; vacche fulve villose con le corna grandi. L’impressione è che tutte queste pacifiche bestie assieme abbiano inventato il famoso “prato all’inglese”. Prima di Dunvengan costeggiamo un vecchio cimitero con chiesa diroccata e, sullo sfondo, più in alto su un dosso, un menhir isolato. Procediamo fino al castello di Dunvengan e quasi alle Coral Beaches per poi virare verso Glendael, costeggiando ancora pascoli e un magnifco loch.

Nel frattempo la pioggia cessa e il Sole, forzando le nubi, butta fuori qualche raggio. Corriamo giù per un erto sentiero e poi sul pendio ripido erboso sopra le scogliere (secondo me rischiando inconsapevolmente la vita) e arriviamo a vedere il Sole dipingere i prati di un verde brillante sopra le scogliere scure e illuminare il faro di Niest all’estremità del promontorio roccioso. Stiamo lì in contemplazione abbarbicati sopra la scogliera fino all’imbrunire (21.15 ora scozzese, 22.15 ora italiana), il faro è acceso e fa il suo dovere. Poi ci spostiamo per evitare di ucciderci sul serio.

Notte in auto vicino al faro, il vento forte fa ballare la macchina, mentre l’Oceano canta.

 

20 agosto 2015 – Seal’s Sea

Sveglia a Point Niest, siamo indecisi se scendere o meno di nuovo verso il faro. Alla fine decidiamo di sì perchè vogliamo vedere se dal loch soprastante scende una cascata direttamente nell’Oceano e… per fortuna: ci aspettano scoperte incredibili! Dagli scogli sul mare si scorge la costa la cui linea disegna un anfiteatro di montagne verdissime da cui si alzano rimasugli di nebbia e dalle quali si tuffano nell’Oceano una serie di cascate. Nel cielo sule dalla faccia gialla compiono picchiate vertiginose con l’aereodinamicità e la rigidezza di caccia bombardieri, dritte nell’acqua di un blu intenso dove vanno a formare turbini azzurri. Proseguiamo fino al faro indecisi se andare oltre… una sbiciatina… e scopriamo un mondo di scogli fessurati beige e neri, che fanno da quinte al faro sullo sfondo. Davanti a noi i flutti potenti dell’Oceano ci schizzano divertiti. Muschi di un verde brillante affiorano tra le pozze di acqua salmastra e contrastano con gli scogli scuri. Ci inerpichiamo tra scogli e scoglietti scoprendo continuamente nuovi scorci. Ad un tratto una testina fa capolino tra i flutti: una foca? Forse sì, forse una visione. Poi a scogli quasi terminati vicino a lastroni di roccia nera e chiazze di sabbia bianchissima ecco altri due musetti: due foche!!! Si è fatto tardi, non abbiamo nemmeno fatto colazione, lasciamo il luogo mentre una colonia di cormorani, compiuto il rito dell’asciugatura ad ali aperte, si sposta dal proprio scoglio all’acqua e affrontiamo la salita chiacchierando con Federico (Pisa) e Caterina (Calabria) che non apprezzano come noi la selvaggia e decisamente fresca estate delle Highlands.

Affamati ci fermiamo al caratteristico e accogliente Red Roof per uno spuntino ottimo di prodotti locali tra cui formaggi, affettato, pesce con pane fatto in casa e, per chiudere la poderosa Skye Ginger Cake con glassa burrosa. Costosissimo, ma tutto buono e genuino.

Su consiglio di Federico ci fermiamo a Vatten a vedere un’interessante galleria fotografica. Il fotografo 65enne e molto simpatico, Russel Sherwood, è inglese, ha lavorato sullo Stelvio e ci dà consigli e dritte sul da farsi. Ci suggerisce Elgol e le Highlands nord-occidentali fino a Durness che sono fantastiche e vanno assolutamente viste. Le isole, ci dice, sono diverse: un mondo molto religioso, rimasto fermo a decenni fa e costellato di siti preistorici. Rimuginiamo a lungo indecisi sul da farsi…

Infine accettiamo il suggerimento e ci spostiamo verso Elgol facendo una puntatina al Broch di Dun Beag , costruzione di circa 2.000 anni fa, una specie di massiccia torre a doppia muratura, forse per darle solidità, posta su un’altura panoramica. Oggi restano solo rovine e pecore cui si aggiunge un bimbo che contribuisce alla demolizione, però il luogo risulta assolutamente ameno e idillico. Passato Boardford ci imbattiamo per caso nel vecchio cimitero di Cill Chriosd con la sua chiesetta in rovina. Adoro scoprire i cimiteri dei luoghi che visito: il come viene intesa la morte racconta esplicitamente la vita. E questo cimitero abbandonato allo scorrere del tempo sembra un buon narratore. Le lapidi in pietra sono in parte cadute, spezzate, storte e illeggibili, ma se ne possono interpretare alcune del 1.800 ed ecco subito riaffiorare uno spaccato della vita di allora: è una specie di affascinante e commovente Spoon River dove passioni, gioie e dolori semplicemente umani tornano in vita con me, viandante che mi fermo e leggo.

Scopriamo che Elgol è un paesino piccolissimo e un po’ fatiscente, ne siamo quasi delusi, ma passeggiare sugli scogli con il profilo misterioso delle Cuillin Hills davanti è bellissimo ed estremamente rilassante. Il vento va e viene come impazzito e gli scogli hanno forme e fessure talmente bizzarre che, sulla via del ritorno, una di esse decide di inghiottire Yuri fino all’inguine risucchiandolo nel fango paludoso che la riempe!

Pulito il fango, lasciamo Skye e facciamo una puntatina per fotografare l’Eilean Donan Castle, ancor più suggestivo tra le tenebre notturne. Dopo un breve rifornimento di viveri ci dirigiamo alla volta delle Highlands nord-occidentali cercando un posto tranquillo per dormire. Mentre la strada buia ci inghiotte, ci sintonizziamo sull’unica stazione radio presente che trasmette un programma che alterna parti in prosa e cantate  in gaelico/norreno. Suggestionati dal particolare canto e dalle tenebre, troviamo infine una piazzola per dormire a Tornapress, all’imbocco della Bealach na Ba, dove due cervi si stanno abbeverando immersi nel loch e nell’oscurità. Nel mezzo della notte però il vento tira fortissimo: l’auto balla incessantemente e violentemente, il rumore è insopportabile, impossibile dormire e, anzi, cominciamo a temere di volare via. Ci spostiamo un po’ abbacchiati in un posto più riparato.

 

21 agosto 2015 – Highlander’s Highlands

Ci svegliamo dopo una notte insonne tormentata dal vento e imbocchiamo, senza colazione, la strada di Bealach na Ba, tortuosa e a unica carreggiata. Essa sale tra i monti costeggiando un torrente argentato che forma anse serpenggianti in prati verdissimi: uno spettacolo che continua anche dopo aver scollinato con distese infinite di erika e ginestre punteggiate di loch splendenti con vedute a est di grandi vette, a ovest dell’Oceano e di Skye.

Ad Applecross abbiamo la fortuna di incappare in un pub aperto dove scendiamo a compromessi con la robusta proprietaria convincendola a prolungare l’orario del breakfast servendoci caffè (finalmente! Anche se è la solita brodaglia allungata del nord Europa) e un panino caldo e croccante con becon arrostito e HP sauce, un toccasana davvero!.

Ripartiamo ancora tra distese di dossi ricoperti di erika e ginestre, loch, montagne, vedute straordinarie sull’Oceano. Non c’è monotonia in questi paesaggi spogli, anzi, si intuisce l’essenza di un orizzonte infinito che riempe lo sguardo. I pascoli paludosi sono qua e là (ma con densità bassissima) punteggiati di pecore bianche, ottime per la carne; pecore grigie, adatte per la lana; vacche tra cui quelle fulve, pelose e con grandi corna delle Highlands e le più piccole marroni e bianche delle Shetlands.

In questa distesa incredibile stoppiamo a Cuaig presso una casetta dove c’è il laboratorio di Lesley KilBride ( http://www.croftwools.co.uk/index.html ) che fila e tesse la lana delle sue pecore grigie tingendola con piante selvatiche e licheni dei dintorni. Ci perdiamo a chiacchiere: lei è molto particolare e anche il suo laboratorio dove c’è odore di tintura e lana e che funziona con un mulino a vento per l’elettricità. Acquistiamo due sciarpe e ci confrontiamo sulla tintura con le erbe, chiediamo anche informazioni riguardo alle diverse specie di pecore e vacche.

Ripartiamo di nuovo alla volta di Shieldaig, grazioso porticciolo di casette bianche e basse affacciato su un braccio di mare, dove beviamo caffè e mangiamo torta di carote con glassa burrosa. La gente qui è cordiale e moderna, anche se ci troviamo decisamente fuori dal mondo, nell’area d’Europa seconda per la bassa densità di popolazione: niente Braveheart bellicosi e selvaggi, anche se mi pare di intuire ne rimanga la fierezza.

Proseguiamo attraversando Glen Torridon, dove avvistiamo i pini scozzesi che anticamente dovevano coprire gran parte del territorio. Recentemente alcuni impianti di abete rosso hanno visto la diffusione di questa specie che mal sia accorda con il paesaggio scozzese, perciò è stata in seguito operata una seria reintroduzione dei pini scozzesi in alcune aree tra cui apputo Glen Torridon. I pini appaiono alti e sgraziati donando al paesaggio un aspetto ancora più selvaggio, come quello di Loch Maree sulle cui isolette svettano allampanati e spettinati.

Percorrendo strade e stradine solitarie approdiamo alla remota Red Point. La spiaggia è preceduta da una distesa di erika fiorita dove pascolano placidamente alcune pecore. Poi si devono scollinare un paio di alte dune di sabbia rossa e infine: non resisto, nonostante la temperatura non troppo calda tolgo le scarpe e affondo i piedi tra i granelli di sabbia scendendo di corsa la dorsale della duna a capofitto verso l’Oceano. La spiaggia dal particolare colore rosso è vuota e solitaria, metto i piedi nell’acqua che, pur gelida, risulta tonificante. Passeggiamo godendoci il rumore delle onde ed esplorando i vicini scogli.

Alla ricerca di un buon posto per la notte ci imbattiamo quasi per caso nella Mellon Uldrigle Beach, luogo davvero incredibile: un’inaspettata spiaggia caraibica nel nord della Scozia, bianchissima e lambita da acque turchesi. Davvero se non fosse per la temperatura eccessivamente fresca e le pecore nere che brucano ai margini della spiagga, potresti dire di essere ai Tropici.

Passiamo la notte vicino a un piccolo loch su un ampio altopiano isolato a circa 30 km da Ullapool, a darci la buonanotte un tramonto che infuoca la dorsale rocciosa all’orizzonte.

 

22 agosto 2015 – Midges’ day

Svegliati dalle prime luci del mattino arriviamo in una Ullapool ancora addormentata. Il villaggio è il più grande delle Highlands, ma in realtà è davvero piccolissimo, composto dalle caratteristiche case bianche dal tetto grigio disposte in prossimità della costa. Vaghiamo un po’ per le strade deserte cercando un posto dove fare colazione, ma tutto è ancora chiuso, ci siamo scontrati ancora una volta con i ritmi scozzesi che continuano a essere per noi poco chiari: i radi esercizi commerciali aprono tardi e chiudono presto con orari spesso imprevedibili, il sabato e la domenica inoltre si rischia di dover mangiare muschi e licheni se non ci si procura del cibo il venerdì.

Un po’ scoraggiati, ma soprattutto affamati, attraversiamo le bizzarre formazioni rocciose di Coigach e finiamo per percorrere una strettissima strada lungo la costa tra suggestivi scorci sull’Oceano.

In tarda mattinata raggiungiamo il piccolo villaggio di Lochinver e finalmente possiamo concederci un fantastico brunch a Lochinver Larder. Il locale offre un menu composto esclusivamente di strepitose pie (tortini) sia dolci che salate: ne prendiamo una all’haggis, una al lamb e, come dolce, una al rabarbaro e strawberry, aggiungendo al tutto due tazze di caffè a testa. Una foto sulla parete attrae la nostra attenzione e cerchiamo di ricostruire dove possa essere il luogo ritratto, caratterizzato da un loch sormontato da un monte dalla forma particolare.

Dopo un po’ di ricera troviamo finalmete nei paraggi il posto dove facciamo una breve escursione per fotografare il monte Suilven dal Loch Druim Suardalain, attraversando un suggestivo boschetto di piccole e contorte betulle. E’ una giornata calda e insolitamente tranquilla, oggi il bizzarro vento scozzese tace: “Poco male!” pensiamo, non sappiamo però che la quiete nasconde un’insidia micidiale: i temibili e insopportabili midges (moscerini scozzesi) che già qui iniziano a tormentarci.

La tappa successiva è Point of Stoer, dove arriviamo nel tardo pomeriggio. E’ uno dei migliori miglior posti per fare seawatching e decidiamo di dormire in prossimità del faro, dal quale, quel giorno stesso sono stati avvistati dei cetacei. Ci avviamo lungo una passeggiata di 3 km per vedere l’Old Man of Stoer, ma i moscerini, che già si erano di nuovo fatti sentire nei pressi dell’auto, ci tormentano sempre di più a mano a mano che camminiamo. Giunti in vista dell’Old Man of Stoer ci fermiamo per fotografare e ci ritroviamo totalmente coperti di pungenti e fastidiosissimi midges: allucinante! Proviamo a resistere, ma niente da fare, è davvero impossibile stare fermi e ci affettiamo a rientrare il più velocemente possibile. Per farlo usciamo imprudentemente dal sentiero tracciato e ci troviamo nel mezzo delle paludi. Yuri è avanti a me di un po’, non lo vedo più, aumento il passo per raggiungerlo e… metto inavvertitamente un piede in fallo sprofondando in un secondo giù fino a metà cosce nella palude, quasi stento a risalire, poi un deciso colpo di reni mi salva: nella mia mente frullavanogià i fotogrammi di film d’avventura anni ’80 in cui pullulavano esploratori deceduti sprofondando nelle sabbie mobili…

Siamo scoraggiati: volevamo dormire al faro ma siamo totalmente infangati (soprattutto io), sudati (è un po’ che non vediamo una doccia) e pieni di moscerini morti e vivi, quest’ultimi continuano a starci addosso e hanno anche invaso l’auto. Forse è ora che optiamo per una notte in un B&B, quindi ne cominciamo la ricerca. Un tizio, sfegatato di Valentino Rossi, ci offre una caravan home a 80p (120 €) con vista strepitosa su una baia pullulante di  isolette, ma è decisamente fuori portata. Dopo altri tentativi a vuoto giungiamo finalmente a Scourie dove scoviamo Minch View, gestito da Mrs McDonald. Mrs McDonald si prende decisamente cura di noi. Appurate le nostre condizioni ci manda subito a fare una doccia calda e intanto ci prepara un tè con due tipi di cakes diversi fatti da lei. Ci chiede di noi, del nostro viaggio, si stupisce della nostra prima volta in Scozia e si adopera per renderla unica. Poi a nanna: il top, in un vero letto!

 

23 agosto 2015 – Black pudding at breakfast

Mrs McDonald ci stupisce anche a colazione e ci invita ad assaggiare sapori nuovi servendoci un vero breakfast scozzese: pancakes con burro/marmellata, porridge (di avena, era un cibo povero come la nostra polenta) con zucchero di canna e latte, uova strapazzate con bacon, salsiccia scozzese, funghi, pomodoro cotto, black pudding (fatto con sangue e interiora di maiale), due tazze di caffè a testa. A farci compagnia Mr e Mrs Sample, due signori che provengono dalle Highlands nord-orienali e sono lì in vacanza. Li bombardiamo sfacciatamente subito di domande su sheep, caws, Scotland. All’inizio sono titubanti, poi si sciolgono, si raccontano, Mr Sample è stato un pastore, e finiscono anche per scherzare! Scopro infatti che Mr Sample mi ha nascosto i veri ingredienti del black pudding.

Lasciata l’accogliente ospitalità di Mrs McDonald ci dirigiamo verso Durness, per strada ci fermiamo per osservare da vicino una cava di torba. Il particolare terreno, ricco di sostanza organica, veniva tagliato a fette quadrangolari con una speciale vanga, fatto essicare al sole e all’aria e poi utilizzato come combustibile per il fuoco, vista e considerata la totale assenza di legname, annerendo col suo fumo le antiche blackhouses scozzesi. Ne rubo un pezzo, ovviamente nell’unico momento in cui sulla strada solitaria che stiamo percorrendo passano dei lenti ciclisti.

Costeggiamo il sabbioso Kyle of Durness fino a giungere a Durness, sbuchiamo sulla candida spiaggia di Sango Beach caratterizzata da quinte di scogli scuri che si ergono nella sabbia bianchissima e sono lambiti da acque turchesi limpidissime. L’Oceano si estende a perdita d’occhio con sfumature che vanno dall’azzurro vicino alla costa fino al blu scuro e intenso delle acque profonde.

Passeggiamo lungamente sulle strepitose scogliere di Faraid Head, attraversando un’ampia spiaggia bianca punteggiata di buffi limicoli. Qui non ci sono paludi ma improbabili ed enormi dune sabbiose e candide, che non avrei mai pensato di trovare in cima alla Scozia! Seduti sulle rocce con le gambe a penzoloni sull’Oceano ci godiamo il vento, il sole e le picchiate delle sule.

Al ritorno ci imbattiamo nel vecchio cimitero di Balnakeil con le sue antiche lapidi  sghembe e levigate dalla pioggia e dal vento e la sua chiesa diroccata che racchiude un’antica lapide in gaelico. La mente vola nel tempo percorrendo i muretti a secco che si stagliano ormai diroccati sui prati verdissimi e immaginando come poteva essere questa terra ora così placidamente tranquilla: la triste storia delle Highland Clearances avvenute durante il XVIII e XIX secolo, durante le quali furono effettuati forzati e brutali sfratti della popolazione dedita all’agricoltura su piccola scala da parte dei lords proprietari terrieri, che converitrono l’economia dall’agricoltura all’allevamento di ovini su larga scala. Questi tragici eventi non traspaiono oggi dalla pace delle Highlands, ma sono le radici dell’aspetto solitario e spoglio di questa terra che non è solo natura selvaggia, bensì una profonda commistione tra essa e le attività dell’uomo perpetuate per millenni.

Stanchi e assetati dopo la passeggiata ci infiliamo nel pub del campeggio di Sango Beach dissetandoci con delle ottime birre:  Yuri con una classica Tennent’s, io con una dark delle isole Orcadi. Essendo a stomaco vuoto, ben presto siamo belli allegri e non ci accorgiamo di aver speso ben 41p nel vicino ristorante, dove però si mangia benissimo. Yuri spolvera il piatto del Crofter (grigliata mista con salsiccia scozzese, maiale, agnello, vitello, black pudding, anelli di cipolla, patatine). Io mi strafogo con lamb stufato (tenerissimo), purè, fagiolini e carote. Per finire caffè con whiskey (io sweet, Yuri smoked) e panna. Ancora belli brilli laviamo in piena notte i panni sporchi della palude nella laundry pulitissima del campeggio lasciando un vero disastro! Infine ci prepariamo per la notte: la nostra Dacia stasera sembra una suite con vista sull’Oceano Atlantico… Non vogliamo più tornare a casa! Yuri scende a fare fotografia notturna a Sango Beach fino quasi a mezzanotte. Io mi addormento con vista sull’Oceano e la lucina del display di Yuri, con il rumore delle onde e il vento che sbattacchia l’auto.

 

24 agosto 2015 – Anthropic Shock

Sveglia alle prime luci. Alba dal finestrino posteriore della Dacia. Ci alziamo con il camping ancora immerso nel sonno, doccia, un po’ di spesa, invio cartoline, partenza.. diventiamo presto nervosi per il ritorno che non abbiamo voglia di fare. Ci allunghiamo fino a Talmine per vedere se sulle lingue di sabbia ci sono le foche, ma nulla. Vicino a Tongue facciamo colazione nel carinissimo Weawer’s cafè e poi cominciamo a tornare dirigendoci verso sud.

Attraversiamo una Scozia diversa, quella est, meno montuosa, solo ondulata o addirittura piatta, ancora piena di loch e paludi ma più triste. Anche il tempo è bigio. Russel Sherwood aveva definito questa parte di Scozia: “drammaticamente malinconica” e forse aveva ragione. I centri abitati non ci sono, solo case sparse fino a Lairg (meta rinomata per la pesca al salmone) dove ricomincia la vita.

Da qui in poi shock antropico… siamo di nuovo nella bolgia della vita umana dopo un black out di una settimana nella Scozia più isolata e selvaggia. A Dingwall facciamo la spesa in un enorme supermarket spaventoso, siamo frastornati. Poi giriamo verso Loch Ness, vorremmo vederlo, ma alla fine non ci fermiamo a causa della troppa gente. Il parcheggio del castello è strapieno, rinunciamo guardandolo dal finestrino ed evitiamo la folla brulicante. Effettuiamo alcune fermate a Fort Augustus e Fort William per qualche souvenir, compresa la Casa del Tweed in un paesino sconosciuto presidiata da commesse vestite stile “caccia alla volpe” e prodotti dello stesso genere.

Ripassiamo per Glen Coe e Loch Lomond con le luci calde e le ombre lunghe della sera. A Glasgow toppiamo l’ingresso in autostrada e attraversiamo il centro: un incubo! Ormai è notte fonda ma tiriamo fino a Gilsland (Carlisle) in Galles e dormiamo nel parcheggio del Birdoswald Fort presso l’Hadrian’s Wall. Silenzio e pace.

 

25 agosto 2015 – The Stones, the sheep and the crow

Sveglia 4.45, obiettivo: Vallo di Adriano all’alba. Perlustriamo Birdoswald Fort, ma poi ci spostiamo a Once Brewed. All’inizio non lo vediamo nella penombra, ma poi eccolo lì, il Vallo di Adriano, seminascosto dall’erba, in alcuni tratti più pulito, in altri sepolto, in altri ancora confuso o usato come muretto di recinzione per le pecore. Si snoda come un serpentone sulle colline erbose appena sfiorate dalla luce tenue di un’alba indecisa se uscire dalle nubi. Rumore di fondo: il belare delle pecore e un vento freddissimo. Anche la rugiada è gelida: immagino legionari romani intirizziti che scrutano l’orizzonte dei Pitti.

Colazione in auto con caffè take-away, ciambelle e cookies triplo cioccolato e poi via per il secondo obiettivo della giornata: Stonehenge! Ci arriviamo nella pioggia sottile sotto un cielo plumbeo e dopo una coda dovuta alle auto che rallentavano davanti alle Stones. Yuri c’era già stato, ma allora si arrivava a piedi alle pietre e c’era solo un piccolo centro visitatori. Ora c’è un centro con Cafè, shop, museo, esposizione temporanea, villaggio ricostruito, bus navetta per le Stones. C’è parecchia gente e andiamo un po’ nel panico. Visitiamo prima il Centro Visitatori, provo anche a spostare una delle Stones come avrebbero potuto fare all’epoca. Poi facciamo un primo giro alle Stones, ma la gente è troppa ed è fastidiosa. Torniamo al Centro: un giro allo shop, caffè e saucisse rolls (ne mangiamo tre, di cui uno ce lo regala la tipa del bar perchè poco dopo chiudeva o forse perchè ci vede sfatti). Alle 18.00 (le Stones chiudono alle 20.00) prendiamo l’ultimo bus e toniamo alle Stones: ora possiamo godercele! La gente è andata via quasi tutta e comunque non è fastidiosa come prima. Le nuvole si aprono a squarci di una luce che ormai è quella delle ombre lunghe della sera. Ora le Stones appaiono nella loro maestosità, messe in risalto dal fossato e dalla piana circostante costellata di piccoli tumuli funerari. Sembra un ombelico di energia e viene da chiedersi perchè lì e a quel tempo? O forse anche ora? Pecore pascolano la verde erba circostante. Corvi nerissimi svolazzano tra le ombre lunghe delle Stones, unici veri padroni delle magiche pietre. Immagino preistorici che passeggiano tra le quinte di pietra giocando con la luce e le ombre, andiamo via per ultimi.

Ed eccoci di nuovo a Folkestone per imboccare l’Eurotunnel che in 35 minuti ci porta al di là della Manica senza quasi che te ne accorgi creando un effetto claustrofobico.

Notte nel peggior autogrill del Belgio (nei pressi di Bruxelles)

 

26 agosto 2015 – German factories

Proseguiamo il rientro alla volta di Koblenz in Germania dove facciamo tappa allo showromm della Canyon per provare quelle che potrebbero essere le nostre future bikes.

Segue l’ultimissima chicca del viaggio: Weltkulturerbe Völklinger Hütte, scoperta casuale nel sud-ovest della Germania per questo ancor più sorprendente. L’immensa ferriera, attiva dal 1873 al 1989, è arrivata nel 1965 ad avere 17.000 dipendenti. Ora è visitabile e utilizzata come museo industriale e per mostre temporanee. Belissima la soluzione di aprirla al pubblico (è patrimonio UNESCO).

Qui si entra nel ventre del progresso, nella dannata complessità e innata genialità della mente umana.

Un futurista si esalterebbe, un ambientalista manifesterebbe la sua contrarietà.

Ma non è lecito nè biasimare nè ammirare, solo constatarne l’incredibile grandezza.

Qui ci si sente nel rugginoso stomaco di un drago sputafuoco annichilito e dormiente, ma che ingurgitava e rigurgitava nel suo calore e vapori ardenti, ogni giorno, con fame bulimica migliaia di uomini e mezzi.

Hayao Miyazaki non potrebbe immaginare oltre.

In questa struttura intricata e abnorme sono le piccole cose, seminate inconsapevolmente come briciole di Pollicino da chi ne ha costruito la storia, a destare stupore e commozione.

Terminiamo la giornata con un panino con wurstel e senape preparato con cura da un simpatico ciccione a cui evidentemente piace un bel po’. Questa sì che è vita! Che viaggio! Ma di cosa stiamo parlando? Queste le nostre riflessioni alla vigilia del ritorno. Lavaggio denti con Fuzzy Brush, siamo liberi e felici, ma anche distrutti, notte in un autogrill tedesco non lontani dal confine austriaco.

 

27 agosto 2015 – Home sweet home

Colazione in autogrill austriaco rigorosamente con girella burrosa ai semi di papavero.

Arrivo a casa ore 10.30.

Km totali 6.522!!!

 

Mi piace pensare che Adriano, nella sua saggezza, abbia intuito che il limes era giusto e che la mente dell’Old Man sia sgombra come un cielo azzurro!

2 risposte a “OVER THE LIMES to explore Scottish Highlands

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