RACCONTO BOEMO – Praha, 31 maggio 2016

(foto: Yuri Santini, testo: Matilde Peterlini)

Una città, Praga, fatta di tante storie; un fiume, la Moldava, le racconta; una bambina scopre di esserne parte; quattro personaggi rivivono sotto un forte temporale…

Così Praga narra i nostri contrasti, le nostre paure: il rapporto dell’uomo con la natura; il divario tra ciò che si è indotti a essere e ciò che si vorrebbe diventare; la percezione della responsabilità delle cose che accadono; il concetto di libertà; l’incertezza del futuro.

Il “Racconto boemo” nasce da un paio di giornate che il nostro drappello di esplorazione annuale ai confini con l’est europeo – composto da Giuseppe, Eleonora, Yuri e Matilde – ha passato girovagando a zonzo e con curiosità per Praga e la Repubblica Ceca nella primavera del 2016.

Se ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistite o esistenti è da ritenersi casuale o frutto di pura immaginazione, i luoghi invece, da Terezín a Praga, sono più veri che mai.

E vi dirò che alcune cose sono davvero successe: la guida, lassù al castello; la canzone “Freedom” che usciva da una finestra e noi che applaudivamo il musicista; l’incredibile temporale che ha fermato il tempo e le conseguenti pozzanghere che hanno messo in difficoltà i passanti; il dolce profumo di cannella e fuliggine del trdlo caldo; le bolle di sapone, la birra, la Becherovka e la “Rossa Primavera”; la bambina, soprattutto, davvero presente a quella finestra, sul cui davanzale c’era esattamente quella pianta, e che alla fine ci ha salutato!

Così nasce questo racconto un po’ cupo, diciamo “temporalesco”, come quella giornata, che però è rimasta impressa nelle nostre menti come qualcosa di prezioso e indimenticabile, un granato ceco rosso scuro.

Colonna sonora:

Freedom – Anthony Hamilton: https://www.youtube.com/watch?v=8IydisW8iwU

Moldava – Bedřich Smetana: https://www.youtube.com/watch?v=ddOAFzImZk0

Ecco qui un assaggio del racconto:

La Moldava e i suoi ponti

“…la bambina è immersa nel racconto della Moldava. La bambina è la Moldava, come il fiume raccoglie ciò che è stato – storie apparentemente diverse e lontane nel tempo, ma intimamente legate – e diviene ciò che è.”

 

Vecchio cimitero ebraico di Praga

“Quella stessa mattina del 1589 il rabbino di Praga Jehuda Loew ben Bezalel spiava dalla sinagoga Vecchia-Nuova la creatura da lui evocata aggirarsi tra le lapidi che affollavano il cimitero, mentre i primi raggi del sole filtravano tra le fronde svelandone l’inquietante presenza.”

 

Celle della Fortezza minore di Terezín

“Nella cella della Fortezza minore di Terezín la luce era calata improvvisamente, si era fatta fioca, sebbene non fosse ancora sera. Un vento forte spirava attraverso l’inferriata portando l’odore dei campi di battaglia. Gavrilo non poteva sopportare quel peso che gli comprimeva i polmoni ben più della tubercolosi.”

 

Bottega di marionette a Malà Strana

“Mentre il cielo minaccia, la Moldava appare come un vortice dal quale non si può tornare indietro. Il suo flusso cupo permea la mente. La bambina ne sente la presenza e ha paura. Non sa se può portare il peso di quel racconto. Corre, finché il cielo trattiene il pianto, attraverso una Praga inconsapevole e impassibile: il Vicolo d’Oro, il Museo di Franz Kafka con i “I pisciatori” di David Černý, Malà Strana con le botteghe di marionette. Ed eccola sul Ponte Carlo passare tra romantici abbracci e artisti di strada. Non sentono la voce del fiume? Possibile che per loro sia solo uno sfondo? Non percepiscono il tempo che è trascorso e l’istante che passa?”

 

Temporale su Praga

“L’attesa si spezza. Il cielo piange: prima con lacrime rade e grosse, poi con singhiozzi, infine si apre in uno scroscio incessante.”

 

Temporale su Praga

“La vita si ferma per un attimo: è l’istante in cui tutto può accadere, l’immobilità ha azzerato lo scorrere del tempo, la disperazione del cielo lava via ogni indugio. Mentre tutto è inaspettatamente sospeso senza alcun controllo, si apre la possibilità di compiere l’impossibile.”

 

Sinagoga Pinkas

“La pioggia trascinava la vernice lungo le vie grigie colorandole della tinta inaspettata e vivace: la libertà diventava contagiosa e si diffondeva a macchia d’olio, la pioggia lavava via ogni paura.”

 

La bambina alla finestra

“Ora che il cielo ha smesso di piangere, la bambina guarda dalla finestra con occhi nuovi.”

 

La bambina alla finestra

Bolle di sapone in Piazza della Città vecchia

“Sotto l’orologio astronomico gli artisti delle bolle di sapone si improvvisano pifferai magici dei bimbi di passaggio.”

 

Se volete leggere il racconto completo contattateci alla nostra mail:

yurmat@virgilio.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

OVER THE LIMES to explore Scottish Highlands

Old Man of Storr

(foto: Yuri Santini; testo: Matilde Peterlini)

Agosto 2015: viaggio da Baisi di Terragnolo fino alle leggendarie Highlands nord-occidentali e all’Isola di Skye che naviga in un mare di nubi e Oceano. Partiamo senza una meta precisa, un po’ allo sbaraglio, per scoprire luoghi che non avremmo potuto immaginare.

Colonna sonora:

Old Man – Neil Young: https://www.youtube.com/watch?v=SYUgGs9IStY

Iron Sky – Paolo Nutini: https://www.youtube.com/watch?v=ELKbtFljucQ

Stand over the Horizon – Franz Ferdinand: https://www.youtube.com/watch?v=2iUfn5vJI7Q

 

La Scozia è davvero “oltre il limes“.

Non è un gioco di parole, non è una coincidenza, quel muro antico di quasi 2.000 anni costruito dall’imperatore romano Adriano segna davvero un confine, un punto di svolta, al di là del quale qualcosa cambia fin da subito e sempre di più procedendo col viaggio.

A mano a mano che si segue la Stella Polare tutto si spoglia, si semplifica.

Le strade si restringono, gli spazi si amplificano, scompaiono città, case, alberi, supermarket, negozi, distributori, il segnale telefonico… scompare tutto, ma non manca nulla… c’è l’essenziale: la terra, l’acqua, il vento, la roccia, il Sole.

Non resta nulla di superfluo e l’haggis, l’insaccato fatto di interiora di pecora, ne è l’emblema.

Si aprono distese sconfinate di torba ed erba bagnata, disperse tra infiniti monti dalle forme bizzarre e punteggiate di loch rilucenti allo sbucare del sole. Rocce insolite spiccano tra nubi vaste e piatte, che si fondono e confondono con l’immenso e selvaggio Oceano. Ci si sente costantemente ad alta quota, ma l’Oceano è lì, che canta, a poca distanza, perlustrato dalle sule, accarezzando con forza scogliere imponenti e bianchissime spiagge dall’apparenza tropicale, vicino alle quali pascolano, tra l’erika fiorita, beate e belanti pecore.

Silenzi incessanti scanditi dal vento e dall’acqua sono l’unica profonda voce che sussurra solo il necessario.

C’è qualcosa di ancestrale che svuota la mente e la nutre di questi spazi infiniti e spogli e di questo insistente, piacevole e libero vento.

Cosa avrà pensato Adriano?

Cosa passa nella mente dell’Old Man?

 

16 agosto 2015 – A hard journey

Partiti, 8 del mattino circa… non sappiamo bene per dove…

In auto 3 guide turistiche: Finlandia, Irlanda e Scozia, la seconda ha maggiori % di scelta. Tra i Baisi di Terragnolo e Innsruck scartiamo la Finlandia e viriamo a nord-ovest. Non sappiamo nemmeno se abbiamo preparato il bagaglio giusto e, comunque sia, non siamo informati su cosa andare a vedere o fare: partiamo allo sbaraglio!

Innsbruck: sarà Irlanda… poi inizia il Calvario: Fernpass in Austria e tutta la Germania costellate di code inspiegabili e lavori stradali che ci fanno tardare più di tre ore. Per me è la “catarsi” verso le ferie, per Yuri, che guida, sono “Ostie e Madonne”. Dovremmo arrivare a Calais tra le 24.00 e le 1.00: poco male, passare la Manica di notte costa meno. Scopriamo però che il prezzo dell’Eurotunnel arriva al doppio se non lo si prenota! Perciò optiamo per il traghetto, che costa come l’Eurotunnel prenotato (e ha comunque un prezzo non indifferente). Nel tragitto dal tunnel al porto ci imbattiamo in un gruppo di migranti: sembrano tranquilli e spaesati, camminano lungo la strada a doppia corsia, non lo sono altrettanto i poliziotti francesi in tenuta antisommossa, tutti agitati sul loro furgone. I migranti invece non hanno nulla, non una borsa, non uno zaino, solo quello che portano addosso: scure ombre nella notte cercano silenziosi il “mare color del vino” della Manica.

Imbarco ore 2.40, faccio in tempo a schiacciare un pisolino… Yuri invece è sveglio come un lucherino e inkazzato nero per il traffico e per l’opzione traghetto che odia. E non ha tutti i torti: ormai sul traghetto ci va solo chi non può permettersi l’Eurotunnel! La nave puzza di stantio, la pelle dei divani è straslucida e appiccicosa. Mi appoggio a Yuri, sempre lucherino, e piombo in un sonno profondo.

Ore 4.30, in UK 3.30: sbarcati! Primo approccio con la guida a sinistra: per fortuna che è notte e a Dover e Folkestone, dove arriviamo poco dopo, non c’è in giro nessuno. Ampia perlustrazione per individuare un luogo adatto per parcheggiare, montaggio della suite nel bagagliaio della mitica Dacia Lodgy (detta Arcadia) e nanna.

 

17 agosto 2015 – Littlehampton, Little Yuri

Yuri mi sveglia all’alba dal mio sonno profondo. Sapevamo di essere nel parcheggio di un club privato, non ci aspettavamo di trovarci davanti il classico pratino all’inglese degli sport da ricchi britannici! Ma non siamo gli unici, di fianco a noi altri due hanno dormito in un furgone. Alla nostra sinistra le bianche scogliere di Dover.

Attraversiamo Folkestone deserta, ci procuriamo delle sterline e imbocchiamo l’autostrada. Fermata al primo autogrill con cappuccino medio (ben 3 volte quello italiano!) e muffin triplo cioccolato (schifosamente buono!). Una cosa è certa: vista l’esperienza di ieri, basta traghetti, sarà Scozia!

Chiedo a Yuri se vuole fare un giro a Littlehampton dove aveva vissuto per tre anni fino al 1992. Inizialmente dice di no, poi lo vedo trafficare col navigatore… due ore dopo siamo lì. In principio Yuri non riconosce i posti, si sforza di cercare, poi ricorda e si addolcisce… Facciamo un giro nei luoghi che frequentava, in parte cambiati, e finiamo per mangiare Tuna Roll, il suo panino preferito all’epoca, davanti alla Manica, tra le grida inconfondibili dei gabbiani del nord, nella tranquillità che essa regala con le sue ampie spiagge e maree.

Auto verso nord, ma ricomincia il Calvario del traffico, soprattutto in prossimità delle grandi città. Di nuovo “Ostie e Madonne” di Yuri e io sprofondo nella pura catarsi!

Verso sera tra Galles e Scozia il traffico cede e il panorama si apre su dolci pascoli ondulati illuminati dalla luce radente del sole: stupendo!

Dimentichiamo ogni fatica, ma siamo cotti. Appena passati in Scozia ci parcheggiamo in un autogrill, corrompiamo il commesso con una buona dose di simpatia italiana per pagare di meno il parcheggio e buonanotte…

 

18 agosto 2015 – Scottish Limes

Sveglia ore 5.00, vista l’esperienza di ieri, vogliamo evitare di trovare traffico vicino a Glasgow. Colazione e tappa bagno nell’autogrill ancora dormiente e semideserto, che però offre davvero tutto il necessario (compresi spazzolini da denti di fortuna) e poi su ancora verso nord. Passiamo Glasgow indenni e… da qui in poi comincia il bello: il Limes è alle nostre spalle già da un po’, l’autostrada svanisce, il traffico sfuma, la strada si stringe e diventa un budello; ma attorno a noi la natura si apre come un ventaglio, la ruota di un pavone che svela, dietro ogni piega, luoghi semplicemente splendidi.

Costeggiamo Loch Lomond, il loch più grande della Scozia, con le sue acque placide e argentee alla prima luce del mattino. Ci inerpichiamo fino a sbucare a Rannoch Moor e Glen Coe, una distesa di loch e prati che sfumano alle pendici di montagne gibbose. E’ Campo Imperatore sommato al Pian Grande e moltiplicato all’ennesima potenza. L’immensità, la luce di questi luoghi smuovono qualcosa nella mente e nel cuore, che si esterna con lacrime calde…

Sfioriamo Fort William e l’Eilean Donan Castle dirigendoci con decisione, ma con numerose fermate di stupore, verso uno dei nostri obiettivi: l’isola di Skye, un diamante spigoloso incastonato tra le nubi che fluttua sul selvaggio Oceano.

Puntiamo dritti al paese principale: Portree, un pugno di case colorate e bianche su una baia, piccola ma piena di turisti. In realtà, non appena si esce da essa, essi si disperdono e, sebbene si dica che Skye in agosto sia piena, siamo ben lungi dalle siagge di Rimini. I più “cittadini” non si fermano e tornano nelle dimore signorili del sud della Scozia. In giro invece puoi incontrare qua e là qualche cammmiatore o campeggiatore, anche in piccoli gruppi,  per lo più giovane, dotato di zaino caricato in maniera improbabile e di abbigliamento e calzture discutibili, ma decisamente pronto a vivere l’avventura “into the wild” piantando rigorosamente la tenda nel posto più ventoso, ma col panorama più mozzafiato (qui il campeggio è libero, ma notiamo con stupore che tutto è rispettosamente pulito). A Portree raccogliamo qualche informazione e la mappa dell’isola, infine cediamo alle lusinghe di Fish and Chips presso il porto.

Proseguiamo esplorando la punta nord dell’isola. Passiamo sotto l’Old Man of Storr studiando la strategia per l’alba del giorno successivo. Kilt Rock ci offre la sorpresa di una cascata che si getta a capofitto dalle montagne all’Oceano accompagnata da musica scozzese suonata da un tizio in kilt e cornamusa, unico esemplare avvistato in tutto il viaggio, vicino a un cartello illustrativo sulle impronte dei dinosauri. Poi un salto a Quiraing, quindi a Duntulm Castle dove passeggiamo sulla spiaggia di grossi ciottoli basaltici e visitiamo le suggestive rovine del castello, infine curiosiamo le case tradizionali nel vicino Skye Museum of Island Life.

Chiudiamo la giornata con una vista della costa continentale della Scozia immersa tra le nubi alla luce del tramonto e lì dormiamo, sognando lo splendore che ci circonda (non potremmo desiderare nulla di più).

 

19 agosto 2015 – Old Man

Sveglia ore 4.00 e salita all’Old Man of Storr per fotografare l’alba. C’è appena un po’ di luce. ci inerpichiamo veloci lungo la ripida erta nel’aria fresca, mentre la luce del Sole spinge tra le nubi dietro la costa continentale della Scozia. L’Oceano è diventato un mare di nuvole che prendono la forma delle onde stesse. I loch sono specchi immobili e i prati si tingono di verde intenso a mano a mano che il Sole li accarezza.

L’Old Man tentenna spingendosi verso la luce dell’alba quasi a voler scaldare le sue vecchie ossa nel tepore dei primi raggi. La luce, prima tenue, diventa color albicocca e poi sempre più forte fino a disegnare nitide ombre.

Ci spostiamo su, la montagna (the Storr) chiama e insinua nella mente la voglia di vedere cosa c’è al di là. Il versante è scosceso e salendo si sbuca più volte su pareti spaventosamente a picco. Il pendio è sempre più ripido, prima della cima si è costretti a metter giù le mani su rocce ed erba. Poi… la vetta: si sbuca su un ampio prato piatto e verdissimo, rasato all’inglese dalle pecore! Il contrasto con le pareti a strapiombo è netto: sembra una presa in giro, ma la vista è stupenda, su tutta Skye, le Ebridi e le Highlands.

Scendiamo: siamo senza colazione e stanchissimi. Passiamo proprio sotto l’Old Man, che pare tutto concentrato sul suo inspiegabile equilibrio, e il piccolo loch lì accanto, mentre le pecore ci guardano curiose, e in tarda mattinata raggiungiamo un camping vicino a Portree. Abbiamo bisogno di riposare, fare una doccia e ricaricare le batterie (le nostre e quelle delle macchine fotografiche).

Nel pomeriggio piove. Yuri, dopo aver riposato un po’ comincia a fremere: “E se adesso esce il Sole? Sai che foto? Dobbiamo prepararci in un buon posto…”. E così ripartiamo: obiettivo Point Niest. Vaghiamo nella pioggia verso Dunvengan, incontriamo paesaggi fatti di pascoli, disseminati di rade casette bianche dal tetto grigio e di pecore bianche, più o meno pelose, con le orecchie corte; pecore con il muso nero e le corna storte, involontariamente sataniche; incroci tra le due; vacche; vacche fulve; vacche fulve villose con le corna grandi. L’impressione è che tutte queste pacifiche bestie assieme abbiano inventato il famoso “prato all’inglese”. Prima di Dunvengan costeggiamo un vecchio cimitero con chiesa diroccata e, sullo sfondo, più in alto su un dosso, un menhir isolato. Procediamo fino al castello di Dunvengan e quasi alle Coral Beaches per poi virare verso Glendael, costeggiando ancora pascoli e un magnifco loch.

Nel frattempo la pioggia cessa e il Sole, forzando le nubi, butta fuori qualche raggio. Corriamo giù per un erto sentiero e poi sul pendio ripido erboso sopra le scogliere (secondo me rischiando inconsapevolmente la vita) e arriviamo a vedere il Sole dipingere i prati di un verde brillante sopra le scogliere scure e illuminare il faro di Niest all’estremità del promontorio roccioso. Stiamo lì in contemplazione abbarbicati sopra la scogliera fino all’imbrunire (21.15 ora scozzese, 22.15 ora italiana), il faro è acceso e fa il suo dovere. Poi ci spostiamo per evitare di ucciderci sul serio.

Notte in auto vicino al faro, il vento forte fa ballare la macchina, mentre l’Oceano canta.

 

20 agosto 2015 – Seal’s Sea

Sveglia a Point Niest, siamo indecisi se scendere o meno di nuovo verso il faro. Alla fine decidiamo di sì perchè vogliamo vedere se dal loch soprastante scende una cascata direttamente nell’Oceano e… per fortuna: ci aspettano scoperte incredibili! Dagli scogli sul mare si scorge la costa la cui linea disegna un anfiteatro di montagne verdissime da cui si alzano rimasugli di nebbia e dalle quali si tuffano nell’Oceano una serie di cascate. Nel cielo sule dalla faccia gialla compiono picchiate vertiginose con l’aereodinamicità e la rigidezza di caccia bombardieri, dritte nell’acqua di un blu intenso dove vanno a formare turbini azzurri. Proseguiamo fino al faro indecisi se andare oltre… una sbiciatina… e scopriamo un mondo di scogli fessurati beige e neri, che fanno da quinte al faro sullo sfondo. Davanti a noi i flutti potenti dell’Oceano ci schizzano divertiti. Muschi di un verde brillante affiorano tra le pozze di acqua salmastra e contrastano con gli scogli scuri. Ci inerpichiamo tra scogli e scoglietti scoprendo continuamente nuovi scorci. Ad un tratto una testina fa capolino tra i flutti: una foca? Forse sì, forse una visione. Poi a scogli quasi terminati vicino a lastroni di roccia nera e chiazze di sabbia bianchissima ecco altri due musetti: due foche!!! Si è fatto tardi, non abbiamo nemmeno fatto colazione, lasciamo il luogo mentre una colonia di cormorani, compiuto il rito dell’asciugatura ad ali aperte, si sposta dal proprio scoglio all’acqua e affrontiamo la salita chiacchierando con Federico (Pisa) e Caterina (Calabria) che non apprezzano come noi la selvaggia e decisamente fresca estate delle Highlands.

Affamati ci fermiamo al caratteristico e accogliente Red Roof per uno spuntino ottimo di prodotti locali tra cui formaggi, affettato, pesce con pane fatto in casa e, per chiudere la poderosa Skye Ginger Cake con glassa burrosa. Costosissimo, ma tutto buono e genuino.

Su consiglio di Federico ci fermiamo a Vatten a vedere un’interessante galleria fotografica. Il fotografo 65enne e molto simpatico, Russel Sherwood, è inglese, ha lavorato sullo Stelvio e ci dà consigli e dritte sul da farsi. Ci suggerisce Elgol e le Highlands nord-occidentali fino a Durness che sono fantastiche e vanno assolutamente viste. Le isole, ci dice, sono diverse: un mondo molto religioso, rimasto fermo a decenni fa e costellato di siti preistorici. Rimuginiamo a lungo indecisi sul da farsi…

Infine accettiamo il suggerimento e ci spostiamo verso Elgol facendo una puntatina al Broch di Dun Beag , costruzione di circa 2.000 anni fa, una specie di massiccia torre a doppia muratura, forse per darle solidità, posta su un’altura panoramica. Oggi restano solo rovine e pecore cui si aggiunge un bimbo che contribuisce alla demolizione, però il luogo risulta assolutamente ameno e idillico. Passato Boardford ci imbattiamo per caso nel vecchio cimitero di Cill Chriosd con la sua chiesetta in rovina. Adoro scoprire i cimiteri dei luoghi che visito: il come viene intesa la morte racconta esplicitamente la vita. E questo cimitero abbandonato allo scorrere del tempo sembra un buon narratore. Le lapidi in pietra sono in parte cadute, spezzate, storte e illeggibili, ma se ne possono interpretare alcune del 1.800 ed ecco subito riaffiorare uno spaccato della vita di allora: è una specie di affascinante e commovente Spoon River dove passioni, gioie e dolori semplicemente umani tornano in vita con me, viandante che mi fermo e leggo.

Scopriamo che Elgol è un paesino piccolissimo e un po’ fatiscente, ne siamo quasi delusi, ma passeggiare sugli scogli con il profilo misterioso delle Cuillin Hills davanti è bellissimo ed estremamente rilassante. Il vento va e viene come impazzito e gli scogli hanno forme e fessure talmente bizzarre che, sulla via del ritorno, una di esse decide di inghiottire Yuri fino all’inguine risucchiandolo nel fango paludoso che la riempe!

Pulito il fango, lasciamo Skye e facciamo una puntatina per fotografare l’Eilean Donan Castle, ancor più suggestivo tra le tenebre notturne. Dopo un breve rifornimento di viveri ci dirigiamo alla volta delle Highlands nord-occidentali cercando un posto tranquillo per dormire. Mentre la strada buia ci inghiotte, ci sintonizziamo sull’unica stazione radio presente che trasmette un programma che alterna parti in prosa e cantate  in gaelico/norreno. Suggestionati dal particolare canto e dalle tenebre, troviamo infine una piazzola per dormire a Tornapress, all’imbocco della Bealach na Ba, dove due cervi si stanno abbeverando immersi nel loch e nell’oscurità. Nel mezzo della notte però il vento tira fortissimo: l’auto balla incessantemente e violentemente, il rumore è insopportabile, impossibile dormire e, anzi, cominciamo a temere di volare via. Ci spostiamo un po’ abbacchiati in un posto più riparato.

 

21 agosto 2015 – Highlander’s Highlands

Ci svegliamo dopo una notte insonne tormentata dal vento e imbocchiamo, senza colazione, la strada di Bealach na Ba, tortuosa e a unica carreggiata. Essa sale tra i monti costeggiando un torrente argentato che forma anse serpenggianti in prati verdissimi: uno spettacolo che continua anche dopo aver scollinato con distese infinite di erika e ginestre punteggiate di loch splendenti con vedute a est di grandi vette, a ovest dell’Oceano e di Skye.

Ad Applecross abbiamo la fortuna di incappare in un pub aperto dove scendiamo a compromessi con la robusta proprietaria convincendola a prolungare l’orario del breakfast servendoci caffè (finalmente! Anche se è la solita brodaglia allungata del nord Europa) e un panino caldo e croccante con becon arrostito e HP sauce, un toccasana davvero!.

Ripartiamo ancora tra distese di dossi ricoperti di erika e ginestre, loch, montagne, vedute straordinarie sull’Oceano. Non c’è monotonia in questi paesaggi spogli, anzi, si intuisce l’essenza di un orizzonte infinito che riempe lo sguardo. I pascoli paludosi sono qua e là (ma con densità bassissima) punteggiati di pecore bianche, ottime per la carne; pecore grigie, adatte per la lana; vacche tra cui quelle fulve, pelose e con grandi corna delle Highlands e le più piccole marroni e bianche delle Shetlands.

In questa distesa incredibile stoppiamo a Cuaig presso una casetta dove c’è il laboratorio di Lesley KilBride ( http://www.croftwools.co.uk/index.html ) che fila e tesse la lana delle sue pecore grigie tingendola con piante selvatiche e licheni dei dintorni. Ci perdiamo a chiacchiere: lei è molto particolare e anche il suo laboratorio dove c’è odore di tintura e lana e che funziona con un mulino a vento per l’elettricità. Acquistiamo due sciarpe e ci confrontiamo sulla tintura con le erbe, chiediamo anche informazioni riguardo alle diverse specie di pecore e vacche.

Ripartiamo di nuovo alla volta di Shieldaig, grazioso porticciolo di casette bianche e basse affacciato su un braccio di mare, dove beviamo caffè e mangiamo torta di carote con glassa burrosa. La gente qui è cordiale e moderna, anche se ci troviamo decisamente fuori dal mondo, nell’area d’Europa seconda per la bassa densità di popolazione: niente Braveheart bellicosi e selvaggi, anche se mi pare di intuire ne rimanga la fierezza.

Proseguiamo attraversando Glen Torridon, dove avvistiamo i pini scozzesi che anticamente dovevano coprire gran parte del territorio. Recentemente alcuni impianti di abete rosso hanno visto la diffusione di questa specie che mal sia accorda con il paesaggio scozzese, perciò è stata in seguito operata una seria reintroduzione dei pini scozzesi in alcune aree tra cui apputo Glen Torridon. I pini appaiono alti e sgraziati donando al paesaggio un aspetto ancora più selvaggio, come quello di Loch Maree sulle cui isolette svettano allampanati e spettinati.

Percorrendo strade e stradine solitarie approdiamo alla remota Red Point. La spiaggia è preceduta da una distesa di erika fiorita dove pascolano placidamente alcune pecore. Poi si devono scollinare un paio di alte dune di sabbia rossa e infine: non resisto, nonostante la temperatura non troppo calda tolgo le scarpe e affondo i piedi tra i granelli di sabbia scendendo di corsa la dorsale della duna a capofitto verso l’Oceano. La spiaggia dal particolare colore rosso è vuota e solitaria, metto i piedi nell’acqua che, pur gelida, risulta tonificante. Passeggiamo godendoci il rumore delle onde ed esplorando i vicini scogli.

Alla ricerca di un buon posto per la notte ci imbattiamo quasi per caso nella Mellon Uldrigle Beach, luogo davvero incredibile: un’inaspettata spiaggia caraibica nel nord della Scozia, bianchissima e lambita da acque turchesi. Davvero se non fosse per la temperatura eccessivamente fresca e le pecore nere che brucano ai margini della spiagga, potresti dire di essere ai Tropici.

Passiamo la notte vicino a un piccolo loch su un ampio altopiano isolato a circa 30 km da Ullapool, a darci la buonanotte un tramonto che infuoca la dorsale rocciosa all’orizzonte.

 

22 agosto 2015 – Midges’ day

Svegliati dalle prime luci del mattino arriviamo in una Ullapool ancora addormentata. Il villaggio è il più grande delle Highlands, ma in realtà è davvero piccolissimo, composto dalle caratteristiche case bianche dal tetto grigio disposte in prossimità della costa. Vaghiamo un po’ per le strade deserte cercando un posto dove fare colazione, ma tutto è ancora chiuso, ci siamo scontrati ancora una volta con i ritmi scozzesi che continuano a essere per noi poco chiari: i radi esercizi commerciali aprono tardi e chiudono presto con orari spesso imprevedibili, il sabato e la domenica inoltre si rischia di dover mangiare muschi e licheni se non ci si procura del cibo il venerdì.

Un po’ scoraggiati, ma soprattutto affamati, attraversiamo le bizzarre formazioni rocciose di Coigach e finiamo per percorrere una strettissima strada lungo la costa tra suggestivi scorci sull’Oceano.

In tarda mattinata raggiungiamo il piccolo villaggio di Lochinver e finalmente possiamo concederci un fantastico brunch a Lochinver Larder. Il locale offre un menu composto esclusivamente di strepitose pie (tortini) sia dolci che salate: ne prendiamo una all’haggis, una al lamb e, come dolce, una al rabarbaro e strawberry, aggiungendo al tutto due tazze di caffè a testa. Una foto sulla parete attrae la nostra attenzione e cerchiamo di ricostruire dove possa essere il luogo ritratto, caratterizzato da un loch sormontato da un monte dalla forma particolare.

Dopo un po’ di ricera troviamo finalmete nei paraggi il posto dove facciamo una breve escursione per fotografare il monte Suilven dal Loch Druim Suardalain, attraversando un suggestivo boschetto di piccole e contorte betulle. E’ una giornata calda e insolitamente tranquilla, oggi il bizzarro vento scozzese tace: “Poco male!” pensiamo, non sappiamo però che la quiete nasconde un’insidia micidiale: i temibili e insopportabili midges (moscerini scozzesi) che già qui iniziano a tormentarci.

La tappa successiva è Point of Stoer, dove arriviamo nel tardo pomeriggio. E’ uno dei migliori miglior posti per fare seawatching e decidiamo di dormire in prossimità del faro, dal quale, quel giorno stesso sono stati avvistati dei cetacei. Ci avviamo lungo una passeggiata di 3 km per vedere l’Old Man of Stoer, ma i moscerini, che già si erano di nuovo fatti sentire nei pressi dell’auto, ci tormentano sempre di più a mano a mano che camminiamo. Giunti in vista dell’Old Man of Stoer ci fermiamo per fotografare e ci ritroviamo totalmente coperti di pungenti e fastidiosissimi midges: allucinante! Proviamo a resistere, ma niente da fare, è davvero impossibile stare fermi e ci affettiamo a rientrare il più velocemente possibile. Per farlo usciamo imprudentemente dal sentiero tracciato e ci troviamo nel mezzo delle paludi. Yuri è avanti a me di un po’, non lo vedo più, aumento il passo per raggiungerlo e… metto inavvertitamente un piede in fallo sprofondando in un secondo giù fino a metà cosce nella palude, quasi stento a risalire, poi un deciso colpo di reni mi salva: nella mia mente frullavanogià i fotogrammi di film d’avventura anni ’80 in cui pullulavano esploratori deceduti sprofondando nelle sabbie mobili…

Siamo scoraggiati: volevamo dormire al faro ma siamo totalmente infangati (soprattutto io), sudati (è un po’ che non vediamo una doccia) e pieni di moscerini morti e vivi, quest’ultimi continuano a starci addosso e hanno anche invaso l’auto. Forse è ora che optiamo per una notte in un B&B, quindi ne cominciamo la ricerca. Un tizio, sfegatato di Valentino Rossi, ci offre una caravan home a 80p (120 €) con vista strepitosa su una baia pullulante di  isolette, ma è decisamente fuori portata. Dopo altri tentativi a vuoto giungiamo finalmente a Scourie dove scoviamo Minch View, gestito da Mrs McDonald. Mrs McDonald si prende decisamente cura di noi. Appurate le nostre condizioni ci manda subito a fare una doccia calda e intanto ci prepara un tè con due tipi di cakes diversi fatti da lei. Ci chiede di noi, del nostro viaggio, si stupisce della nostra prima volta in Scozia e si adopera per renderla unica. Poi a nanna: il top, in un vero letto!

 

23 agosto 2015 – Black pudding at breakfast

Mrs McDonald ci stupisce anche a colazione e ci invita ad assaggiare sapori nuovi servendoci un vero breakfast scozzese: pancakes con burro/marmellata, porridge (di avena, era un cibo povero come la nostra polenta) con zucchero di canna e latte, uova strapazzate con bacon, salsiccia scozzese, funghi, pomodoro cotto, black pudding (fatto con sangue e interiora di maiale), due tazze di caffè a testa. A farci compagnia Mr e Mrs Sample, due signori che provengono dalle Highlands nord-orienali e sono lì in vacanza. Li bombardiamo sfacciatamente subito di domande su sheep, caws, Scotland. All’inizio sono titubanti, poi si sciolgono, si raccontano, Mr Sample è stato un pastore, e finiscono anche per scherzare! Scopro infatti che Mr Sample mi ha nascosto i veri ingredienti del black pudding.

Lasciata l’accogliente ospitalità di Mrs McDonald ci dirigiamo verso Durness, per strada ci fermiamo per osservare da vicino una cava di torba. Il particolare terreno, ricco di sostanza organica, veniva tagliato a fette quadrangolari con una speciale vanga, fatto essicare al sole e all’aria e poi utilizzato come combustibile per il fuoco, vista e considerata la totale assenza di legname, annerendo col suo fumo le antiche blackhouses scozzesi. Ne rubo un pezzo, ovviamente nell’unico momento in cui sulla strada solitaria che stiamo percorrendo passano dei lenti ciclisti.

Costeggiamo il sabbioso Kyle of Durness fino a giungere a Durness, sbuchiamo sulla candida spiaggia di Sango Beach caratterizzata da quinte di scogli scuri che si ergono nella sabbia bianchissima e sono lambiti da acque turchesi limpidissime. L’Oceano si estende a perdita d’occhio con sfumature che vanno dall’azzurro vicino alla costa fino al blu scuro e intenso delle acque profonde.

Passeggiamo lungamente sulle strepitose scogliere di Faraid Head, attraversando un’ampia spiaggia bianca punteggiata di buffi limicoli. Qui non ci sono paludi ma improbabili ed enormi dune sabbiose e candide, che non avrei mai pensato di trovare in cima alla Scozia! Seduti sulle rocce con le gambe a penzoloni sull’Oceano ci godiamo il vento, il sole e le picchiate delle sule.

Al ritorno ci imbattiamo nel vecchio cimitero di Balnakeil con le sue antiche lapidi  sghembe e levigate dalla pioggia e dal vento e la sua chiesa diroccata che racchiude un’antica lapide in gaelico. La mente vola nel tempo percorrendo i muretti a secco che si stagliano ormai diroccati sui prati verdissimi e immaginando come poteva essere questa terra ora così placidamente tranquilla: la triste storia delle Highland Clearances avvenute durante il XVIII e XIX secolo, durante le quali furono effettuati forzati e brutali sfratti della popolazione dedita all’agricoltura su piccola scala da parte dei lords proprietari terrieri, che converitrono l’economia dall’agricoltura all’allevamento di ovini su larga scala. Questi tragici eventi non traspaiono oggi dalla pace delle Highlands, ma sono le radici dell’aspetto solitario e spoglio di questa terra che non è solo natura selvaggia, bensì una profonda commistione tra essa e le attività dell’uomo perpetuate per millenni.

Stanchi e assetati dopo la passeggiata ci infiliamo nel pub del campeggio di Sango Beach dissetandoci con delle ottime birre:  Yuri con una classica Tennent’s, io con una dark delle isole Orcadi. Essendo a stomaco vuoto, ben presto siamo belli allegri e non ci accorgiamo di aver speso ben 41p nel vicino ristorante, dove però si mangia benissimo. Yuri spolvera il piatto del Crofter (grigliata mista con salsiccia scozzese, maiale, agnello, vitello, black pudding, anelli di cipolla, patatine). Io mi strafogo con lamb stufato (tenerissimo), purè, fagiolini e carote. Per finire caffè con whiskey (io sweet, Yuri smoked) e panna. Ancora belli brilli laviamo in piena notte i panni sporchi della palude nella laundry pulitissima del campeggio lasciando un vero disastro! Infine ci prepariamo per la notte: la nostra Dacia stasera sembra una suite con vista sull’Oceano Atlantico… Non vogliamo più tornare a casa! Yuri scende a fare fotografia notturna a Sango Beach fino quasi a mezzanotte. Io mi addormento con vista sull’Oceano e la lucina del display di Yuri, con il rumore delle onde e il vento che sbattacchia l’auto.

 

24 agosto 2015 – Anthropic Shock

Sveglia alle prime luci. Alba dal finestrino posteriore della Dacia. Ci alziamo con il camping ancora immerso nel sonno, doccia, un po’ di spesa, invio cartoline, partenza.. diventiamo presto nervosi per il ritorno che non abbiamo voglia di fare. Ci allunghiamo fino a Talmine per vedere se sulle lingue di sabbia ci sono le foche, ma nulla. Vicino a Tongue facciamo colazione nel carinissimo Weawer’s cafè e poi cominciamo a tornare dirigendoci verso sud.

Attraversiamo una Scozia diversa, quella est, meno montuosa, solo ondulata o addirittura piatta, ancora piena di loch e paludi ma più triste. Anche il tempo è bigio. Russel Sherwood aveva definito questa parte di Scozia: “drammaticamente malinconica” e forse aveva ragione. I centri abitati non ci sono, solo case sparse fino a Lairg (meta rinomata per la pesca al salmone) dove ricomincia la vita.

Da qui in poi shock antropico… siamo di nuovo nella bolgia della vita umana dopo un black out di una settimana nella Scozia più isolata e selvaggia. A Dingwall facciamo la spesa in un enorme supermarket spaventoso, siamo frastornati. Poi giriamo verso Loch Ness, vorremmo vederlo, ma alla fine non ci fermiamo a causa della troppa gente. Il parcheggio del castello è strapieno, rinunciamo guardandolo dal finestrino ed evitiamo la folla brulicante. Effettuiamo alcune fermate a Fort Augustus e Fort William per qualche souvenir, compresa la Casa del Tweed in un paesino sconosciuto presidiata da commesse vestite stile “caccia alla volpe” e prodotti dello stesso genere.

Ripassiamo per Glen Coe e Loch Lomond con le luci calde e le ombre lunghe della sera. A Glasgow toppiamo l’ingresso in autostrada e attraversiamo il centro: un incubo! Ormai è notte fonda ma tiriamo fino a Gilsland (Carlisle) in Galles e dormiamo nel parcheggio del Birdoswald Fort presso l’Hadrian’s Wall. Silenzio e pace.

 

25 agosto 2015 – The Stones, the sheep and the crow

Sveglia 4.45, obiettivo: Vallo di Adriano all’alba. Perlustriamo Birdoswald Fort, ma poi ci spostiamo a Once Brewed. All’inizio non lo vediamo nella penombra, ma poi eccolo lì, il Vallo di Adriano, seminascosto dall’erba, in alcuni tratti più pulito, in altri sepolto, in altri ancora confuso o usato come muretto di recinzione per le pecore. Si snoda come un serpentone sulle colline erbose appena sfiorate dalla luce tenue di un’alba indecisa se uscire dalle nubi. Rumore di fondo: il belare delle pecore e un vento freddissimo. Anche la rugiada è gelida: immagino legionari romani intirizziti che scrutano l’orizzonte dei Pitti.

Colazione in auto con caffè take-away, ciambelle e cookies triplo cioccolato e poi via per il secondo obiettivo della giornata: Stonehenge! Ci arriviamo nella pioggia sottile sotto un cielo plumbeo e dopo una coda dovuta alle auto che rallentavano davanti alle Stones. Yuri c’era già stato, ma allora si arrivava a piedi alle pietre e c’era solo un piccolo centro visitatori. Ora c’è un centro con Cafè, shop, museo, esposizione temporanea, villaggio ricostruito, bus navetta per le Stones. C’è parecchia gente e andiamo un po’ nel panico. Visitiamo prima il Centro Visitatori, provo anche a spostare una delle Stones come avrebbero potuto fare all’epoca. Poi facciamo un primo giro alle Stones, ma la gente è troppa ed è fastidiosa. Torniamo al Centro: un giro allo shop, caffè e saucisse rolls (ne mangiamo tre, di cui uno ce lo regala la tipa del bar perchè poco dopo chiudeva o forse perchè ci vede sfatti). Alle 18.00 (le Stones chiudono alle 20.00) prendiamo l’ultimo bus e toniamo alle Stones: ora possiamo godercele! La gente è andata via quasi tutta e comunque non è fastidiosa come prima. Le nuvole si aprono a squarci di una luce che ormai è quella delle ombre lunghe della sera. Ora le Stones appaiono nella loro maestosità, messe in risalto dal fossato e dalla piana circostante costellata di piccoli tumuli funerari. Sembra un ombelico di energia e viene da chiedersi perchè lì e a quel tempo? O forse anche ora? Pecore pascolano la verde erba circostante. Corvi nerissimi svolazzano tra le ombre lunghe delle Stones, unici veri padroni delle magiche pietre. Immagino preistorici che passeggiano tra le quinte di pietra giocando con la luce e le ombre, andiamo via per ultimi.

Ed eccoci di nuovo a Folkestone per imboccare l’Eurotunnel che in 35 minuti ci porta al di là della Manica senza quasi che te ne accorgi creando un effetto claustrofobico.

Notte nel peggior autogrill del Belgio (nei pressi di Bruxelles)

 

26 agosto 2015 – German factories

Proseguiamo il rientro alla volta di Koblenz in Germania dove facciamo tappa allo showromm della Canyon per provare quelle che potrebbero essere le nostre future bikes.

Segue l’ultimissima chicca del viaggio: Weltkulturerbe Völklinger Hütte, scoperta casuale nel sud-ovest della Germania per questo ancor più sorprendente. L’immensa ferriera, attiva dal 1873 al 1989, è arrivata nel 1965 ad avere 17.000 dipendenti. Ora è visitabile e utilizzata come museo industriale e per mostre temporanee. Belissima la soluzione di aprirla al pubblico (è patrimonio UNESCO).

Qui si entra nel ventre del progresso, nella dannata complessità e innata genialità della mente umana.

Un futurista si esalterebbe, un ambientalista manifesterebbe la sua contrarietà.

Ma non è lecito nè biasimare nè ammirare, solo constatarne l’incredibile grandezza.

Qui ci si sente nel rugginoso stomaco di un drago sputafuoco annichilito e dormiente, ma che ingurgitava e rigurgitava nel suo calore e vapori ardenti, ogni giorno, con fame bulimica migliaia di uomini e mezzi.

Hayao Miyazaki non potrebbe immaginare oltre.

In questa struttura intricata e abnorme sono le piccole cose, seminate inconsapevolmente come briciole di Pollicino da chi ne ha costruito la storia, a destare stupore e commozione.

Terminiamo la giornata con un panino con wurstel e senape preparato con cura da un simpatico ciccione a cui evidentemente piace un bel po’. Questa sì che è vita! Che viaggio! Ma di cosa stiamo parlando? Queste le nostre riflessioni alla vigilia del ritorno. Lavaggio denti con Fuzzy Brush, siamo liberi e felici, ma anche distrutti, notte in un autogrill tedesco non lontani dal confine austriaco.

 

27 agosto 2015 – Home sweet home

Colazione in autogrill austriaco rigorosamente con girella burrosa ai semi di papavero.

Arrivo a casa ore 10.30.

Km totali 6.522!!!

 

Mi piace pensare che Adriano, nella sua saggezza, abbia intuito che il limes era giusto e che la mente dell’Old Man sia sgombra come un cielo azzurro!

RIFLESSI D’AUTUNNO

Autunno 2015: una serie di limpide giornate autunnali ci portano a riscoprire luoghi inflazionati nella stagione estiva alla luce dell’autunno. Partiamo tardi, ci godiamo il tramonto solitari e un po’ intirizziti, ma appagati da tanta bellezza, con la consapevolezza di essere parte di un incredibile tutto. Rientriamo incespicando sotto infiniti cieli stellati, accompagnati da occhi lucenti e discreti.

(foto: Yuri Santini)

Ecco l’impermanente attimo prima dell’inverno.

Fatto di luce intensa e calda, di ombre nitide e gelide.

Fatto di lunghi e profondi silenzi in placida attesa delle stelle, di ciuffi di erba bionda, di fredde rocce, di brezze pungenti che increspano la perfezione dei riflessi.

Presto sarà ghiaccio.

Sono perle splendenti questi attimi di luce.

(testo: Matilde Peterlini)

 

 

ALTER LAGO

Dopo la frenesia dell’estate, le spiagge affollate, il wind surf, il kite surf, le vele colorate, l’Ora che impazza bizzarra… Ecco un altro lago…

Nella stagione della quiete i suoi limiti si perdono impercettibili e si confondono con l’aria e la pioggia leggera, come la malinconia.

Pontili di cui ignoriamo o diamo per scontata l’esistenza si stagliano sull’indefinito.

I moli sono ponti che portano a barche, a sbalzo su un viaggio verso una meta invisibile o inesistente.

La malinconia accarezza il colore delle onde, le ali dei gabbiani. L’olivo si contorce, dolcemente, nella luce pallida. Anch’io mi abbandono, sbiadisco, sfumo, divento brezza… salpo per l’ignoto.

(Testo: Matilde Peterlini. Foto: Yuri Santini)

 


 

SULLE MACERIE – Ex Anmill-Rovereto

Volenti o nolenti eccola in azione imperturbabile.

Crea specchi in cui amplifica la nostra assurdità. Prende terreno, avvolge nelle sue spire di foglie i nostri sgarbi, li porta all’oblio.

“Scripta manent”, ma un giorno scompariranno dilavate o ormai incomprensibili e noi, che ora parliamo per dare aria ai denti, daremo voce ad altri esseri.

La Natura crea, distrugge e ricrea con le macerie e noi non ne siamo fuori, ne facciamo parte: volenti o nolenti, dopo averne create tante, saremo anche noi macerie.

(Testo: Matilde Peterlini. Foto: Yuri Santini)

 


 

BRETAGNE – “Le Vent Nous Portera”

Agosto 2014: viaggio lungo la costa bretone da Mont Saint Michel (Normandia) a Carnac, alla volta della straordinaria Enez Eusa (l’isola di Ouessant o isola del terrore).

Colonna sonora:

Billiy Bud- Vinicio Capossela  http://www.youtube.com/watch?v=MBO3yNiGgPU#t=29 ;

Le Vent Nous Portera – Noir Dèsir  https://www.youtube.com/watch?v=NrgcRvBJYBE

 

(foto Yuri Santini)

In Bretagna un vento bizzarro spazza il Cielo, la Terra e l’Oceano.

Cielo e nuvole danzano a ritmo sfrenato.

Pietre e saghe di popoli leggendari restano sommerse e riaffiorano sotto le ampie maree del tempo e, come luci lontane ma potenti di innumerevoli fari, guidano antichi corsari, venditori di cipolle e futuri marinai.

Solo e intenso il rumore dell’Oceano ne infrange con costanza gli echi contro le scogliere e racconta che tutto scorre, che lui ne è testimone, che noi e il nostro tempo siamo solo una delle tante, piccole gocce.

Qui, nella mite terra dei tramonti, l’Oceano si mangia il Tempo e noi ci crogioliamo in questa immensità di infinita bellezza dall’alto di una scogliera battuta dalle tempeste; cullati nella nostra piccola isola di erika, more e burro salato; consapevoli che l’essenza di ogni goccia, solo essa, durerà per sempre.

(testo Matilde Peterlini)

CONCORSO ROTARY&FOTO: MONTAGNE – SECONDA EDIZIONE

È Yuri Santini, con la fotografia intitolata «Paganella Gravity» il vincitore assoluto del concorso fotografico internazionale Rotary & Foto: Montagne – seconda edizione. La motivazione della giuria: «L’autore è riuscito a trasmettere con un taglio coinvolgente e con l’elaborazione di un’ottima tecnica fotografica, gli aspetti inediti di una montagna molto conosciuta come la Paganella, vista quasi come vetta “spersonalizzata”, conquistata da altri mondi lontani, nei tralicci, antenne, ripetitori incrostati di ghiaccio. L’ampio pianoro sommitale appare quasi uno specchio che assorbe e riflette messaggi di un’esteriorità anche inquietante, ma comunque sempre presente. Il tutto in una luce invernale e surreale, capace di avvolgere la modernità tecnologica, che ha espropriato i monti della loro naturalità, nell’atmosfera di un antico mito».

Nella categoria Ski Alp è stata inoltre segnalata la foto di Yuri Santini “Terra Nivium”.

 

http://www.rotaryconcorsi.eu/joomla/vincitori2014

PORTFOLIO: BERLIN

Yuri e Matilde hanno pubblicato il portfolio dal titolo

“BERLIN”

sulla rivista

IMAGE MAG

foto – imaging – video – fine art

Storie di fotografi e di fotografia

numero di marzo-aprile (anno III n.02)

Foto: Yuri Santini – Testo: Matilde Peterlini

Image Mag è una rivista italiana bimestrale di grande formato che racconta storie di fotografi e di fotografia. Il magazine si compone di diverse sezioni: la “cover story” dedicata ogni numero a un grande autore della fotografia, (in questo numero Sebastiao Salgado); i racconti “lifestyle” che approfondiscono i segreti di chi ha fatto della produzione di immagini la propria professione e i portfolio di fotografi semi professionisti e di fotoamatori di grande livello, ai quali viene dedicato uno spazio importante e una cura estrema nella presentazione delle immagini. Non mancano naturalmente rubriche dal sapore più tecnico, che offrono aggiornamenti sulle tecnologie imaging, oltre ai pareri degli esperti dei negozi della catena Photop sulle attrezzature specializzate e sugli accessori. Image Mag in ogni sua caratteristica è stata studiata per enfatizzare il potere espressivo delle immagini, a partire dal formato oversize di 28×40 cm, alla raffinata carta ad elevata grammatura.

http://imagemag.it/

AH! LA CORSE…!

(foto: Yuri Santini)

 

Isola… il concetto di isola mi ha sempre inquiestata. Non vorrei mai vivere su un’isola: mi sentirei in gabbia, limitata, dipendente da traghetti e aerei per vedere nuovi orizzonti. Ma con che occhi gli isolani vedono i continenti? Si sentono perduti, indifesi? O, in fondo, i continenti non sono altro che isole molto grandi?

Certo, nascere e vivere in un universo parallelo come la Corsica non dev’essere facile o deve essere una scelta… e il viaggio me lo ha confermato.

La Corsica è un frutto succoso e invitante, ma dal sapore aspro e il nocciolo duro e amaro.

Il suo mare è un limpido lapislazzulo, è la voce irresistibile e attraente di una Sirena.

La macchia selvaggia è avventurosa e intrigante, ma ti lascia sempre il torso scoperto, al sole, e ti fa sentire costantemente un intruso.

E le montagne, inizialmente dolci e levigate, divengono ben presto spigolose e ostili, costellate di guglie pungenti e profonde forre, come un ammasso di rottami rocciosi rumorosamente spezzati e tenuti ora celati nel cuore taciturno e solitario dell’isola.

La natura primordiale, con il suo fascino ammaliatore, si contende, incessantemente, l’isola con l’uomo.

I corsi hanno imparato, nel tempo, a non fidarsi nè della natura nè dell’uomo: poche parole, molti sguardi. La Corsica è un luogo di relazioni arcaiche, complesse e mischiate, sottilmente percepibili: c’è qualcosa di sofferto, un dolore sommesso, un grido di ribellione soffocato che si mischia al profumo pungente e amaro del maquìs.

(Matilde Peterlini)

ALMANYA – Viaggio in Germania [work in progress…]

East side gallery

East side gallery (Yuri Santini)

BERLIN

Berlino
è
un mosaico di pezzi sbagliati,
un ammasso di storie,
un movimento continuo.
E’ un tronco
più volte
reciso
da cui spuntano
foglie.
Un pugno in un occhio.
Quest’essere
insolita
è la sua
magia.

(Matilde Peterlini)

BERLINO, PAESAGGIO CULTURALE

(foto Yuri Santini)

Nel visitare Berlino non ci si deve aspettare una città come tutte le atre. Forse è anche per il suo essere un centro urbano particolare e anomalo che a molti non piace, mentre colpisce altri in maniera spropositata. Innanzitutto non ci si deve aspettare un centro storico: gli edifici più antichi sono andati in gran parte distrutti e sono stati solo parzialmente ricostruiti o in pochi casi restaurati. Questo non vuol dire che Berlino non abbia una storia, anzi, qui il passare del tempo sembra ancora più evidente, come uno schiaffo. Probabilmente questo accade perché la storia recente della città è stata caratterizzata da eventi fortemente traumatici, che hanno inciso sul tessuto urbano segnandolo profondamente. Esso stesso soltanto, a saperlo leggere e decifrare, è in grado di narrare quanto accaduto. Il risultato è un paesaggio culturale estremamente interessante: la città sembra riflettere i fatti storici che la hanno caratterizzata accatastandoli in modo disordinato, con accostamenti surreali e inverosimili. Edifici ultramoderni sbocciano vicino ad antiche chiese, aree vuote si riempiono, altre variano la loro funzione in modo repentino… le rovine dei bunker della Gestapo sono sovrastate dai resti di un tratto di Muro, al di là del quale un vecchio palazzo della DDR verrà ridipinto a nuovo, mentre le gru che si innalzano alle sue spalle stanno costruendo un altro Sony Center… E’ un mosaico di pezzi sbagliati, accatastati apparentemente senza criterio: vecchio e nuovo, diroccato e splendente. Il risultato è esteticamente strano, però affascinante. Ma c’è di più, gli eventi storici che hanno percorso Berlino nell’ultimo secolo – dal nazismo, alla seconda guerra mondiale, dalla guerra fredda, alla caduta del Muro – la hanno resa una città in movimento: gli eventi distruttivi hanno richiesto una ricostruzione, la caduta di separazioni ha portato a un ripensamento del centro urbano e della destinazione d’uso delle sue aree. Berlino è così diventato un continuo cantiere, non è una città della quale si è congelato lo status quo, ma un centro in continua progressione e cambiamento, con particolare attenzione per le forme architettoniche ed artistiche che ne accompagnano lo sviluppo.  Il nuovo ha in parte sepolto e rielaborato ciò che rimaneva del passato, soprattutto recente e tragico come le vestigia del nazismo o del Muro. Può sembrare un sorta di damnatio memoriae, di un passato scomodo che si vuole spazzare via, ma forse è invece una voglia di andare avanti senza dimenticare e, in effetti, a guardar bene, non si perdono occasioni per ricordare attraverso l’arte, invitandoci a riflettere su quanto accaduto. Berlino risulta essere infine una fucina urbana non sempre logica e ordinata, ma pregna di vita e volontà di esprimersi, senza cancellare ciò che è stato, ma considerandolo la radice da cui crescere per guardare al presente e al futuro. La sensazione nel guardarla è quella dello stupore.. uno stupore strano, non una meraviglia positiva… piuttosto un senso di spaesamento!

(Matilde Peterlini)

DENKMAL FUR DIE ERMORDETEN JUDEN EUROPAS

(Memoriale per gli ebrei assassinati d’Europa o Holocaust-Mahnmal, Memoriale dell’Olocausto)

(foto Yuri Santini)

Ho sempre pensato ai monumenti contemporanei come a qualcosa di piuttosto obsoleto e “pesante”: a Berlino ho dovuto decisamente cambiare idea. I monumenti sorti a commemorazione della tragedia dei lager nazisti uniscono la struttura artistico-architettonica a un significato profondo. In più non appaiono come monumenti celebrativi e propagandistici, ma vogliono piuttosto stimolare un risvolto emotivo e riflessivo nel visitatore, agendo quindi su un piano diverso da quello della semplice commemorazione.

L’Holocaust-Mahnmal si trova in un’ampia piazza, l’estensione dell’area occupata dal monumento lascia già intendere l’enormità della tragedia che esso ricorda, ed è formato da una griglia apparentemente ordinata di parallelepipedi grigi. La disposizione ordinata dei blocchi si esprime in realtà solo in due dimensioni: essi hanno uguale lunghezza e larghezza, ma diversa altezza, o meglio profondità. Perciò entrando nella griglia lentamente si sprofonda circondati da parallelepipedi di altezza a mano a mano diversa.

Inizialmente l’ordine della griglia sembra quasi invitare a giocare: le svolte di 90° tra i blocchi offrono infatti la possibilità di apparire e scomparire repentinamente sbucando all’improvviso e molti si ritrovano a correre, nascondersi e prendersi. E’ bello vedere un monumento di questo tipo così pieno di vita: non c’è timore reverenziale o sacrale da parte dei visitatori, ma un memoriale di un’immane tragedia diventa luogo di vivacità e di vita.

Dopo questo primo approccio però si riconosce qualcos’altro: la griglia dei parallelepipedi, che inizialmente porta a una forma di divertimento, fa scomparire con i suoi angoli retti i punti di riferimento e quindi finisce ben presto per disorientare, pur essendo così ordinata. Sembra quasi rappresentare l’ordine di un regime, ben accolto da molti come la risoluzione dei problemi e il miraggio della felicità, ma che nasconde in realtà, nella sua dimensione non visibile cioè quella dell’altezza dei blocchi, il suo lato oscuro. E’ come se la regolarità rappresentasse la rigidità e l’eliminazione dell’altro, del “diverso”, del discordante imposta dal regime dittatoriale. La terza dimensione, la profondità, porta quindi il visitatore a provare l’esperienza emotiva di questo lato negativo. Immergendosi tra i blocchi infatti, dopo il primo momento del gioco e dell’ilarità, ci si sente gradualmente sempre più oppressi fino a provare una certa calustrofobia che sfocia nella sensazione, come direbbe Primo Levi, di essere “sul fondo” e non desiderare altro e in maniera irrefrenabile che risalire e uscire. Correndo fuori si prova un’incredibile sensazione di alleggerimento e liberazione, ci si sente risollevati come se ci si fosse scrollati una pesante ombra dalle spalle.

Questo quello che ho personalmente percepito, spero che Peter Eisenman concordi… sarebbe riuscito nell’intento!

(Matilde Peterlini)

OSTALGIE (Nostalgie dell’Est)

(foto Yuri Santini)

Da Dresda a Berlino il viaggio ha attraversato la ex-DDR e non ho potuto nascondere la curiosità nel voler esplorare questa recente realtà. Ho solo in parte potuto farlo: dal 1989 o le cose sono cambiate con grande velocità, cancellando ciò che era stato, o il socialismo non era poi così diverso. Credo più alla prima ipotesi, anche se appare incredibile come le persone e i centri urbani si siano in pochi anni trasformati e siano stati plasmati dalla nuova economia capitalista. Ho provato a percepire il diverso modo di vivere del socialismo cercandone le tracce, che sono lì, sotto gli occhi di tutti, ma in gran parte svuotate del loro significato: la Vita Cola è ancora sui banchi del supermercato, ma nello stesso scaffale della Coca-Cola; Sandmann è tuttora mandato in onda, ma è anche oggetto di “Nostalgic art”; i vecchi murales propagandistici stonano posti lì, di fronte alle insegne pubblicitarie del centro commerciale; i musei di “ostalgie” spuntano come funghi; le facciate dei palazzoni della DDR vengono rimbiancate fino a sembrare nuove palazzine; gli orti alla periferia di Berlino e Dresda sembrano graziosi giardini borghesi; le Trabant servono per “safari” nel centro urbano. La ex-DDR sembra insomma più un motivo di scolorito turismo, a metà tra la damnatio memoriae e la nostalgia (o “ostalgia”, “nostalgia dell’Est”, come dicono in Germania), che un elemento storico che ancora impregna la realtà. Mi sento in parte attratta dalla diversa esperienza di vita propria del socialismo, come alternativa al capitalismo, ma anche contrariata nei confronti della difficile attuazione della sua utopia, sfociata infine nella costrizione.

Un luogo forse rimasto ancora autentico e non del tutto svuotato del suo significato è il Memoriale per i soldati sovietici al Treptower Park a Berlino (Sowjetisches Ehrenmal – Treptower Park) dedicato ai caduti russi della battaglia di Berlino e costruito tra il 1946 e il 1949. Il monumento ha mantenuto un’aura di sacralità e presenta toni fortemente celebrativi e propagandistici, ma vale la pena una visita perché ci si trova improvvisamente immersi in un’atmosfera d’altri tempi. Tutto ciò è veicolato dallo stile prettamente sovietico-socialista del monumento: due portali monumentali fungono da ingressi; la statua della Madre Russia piange ancora i propri morti; due grandi “bandiere” triangolari in granito rosso, prelevato dai bunker nazisti, con tanto di falce e martello e soldati inginocchiati in segno di rispetto ai suoi piedi, aprono il sipario su un ampio cortile sui lati del quale si allineano le sedici are in pietra che rappresentano le Repubbliche Sovietiche; esse recitano rilievi propagandistici nei quali tutte le componenti della società si prodigano per la vittoria militare del socialismo e Stalin aggiunge il suo tocco con i propri detti, rigorosamente bilingui (russo e tedesco); sullo sfondo la statua  di un soldato russo che spezza con una spada una svastica e tiene in braccio il futuro sovrasta una cella nella quale la società sovietica, mosaicata sulle pareti interne, rende omaggio ai suoi caduti. Il tutto ha come contorno, per far apparire la scena ancor più veritiera, due fiori rossi appena deposti sulla lapide bilingue di dedica ai caduti e la presenza quasi esclusiva di nutriti gruppi di visitatori russi, con il loro idioma e il loro particolare modo di posare lo sguardo sulle cose, se non fosse per tre turisti toscani che discutono sul socialismo… cosa che stiamo facendo anche noi e, in effetti, il luogo non può che portare a una riflessione. Per un attimo infatti si ha veramente l’impressione di ritrovarsi a prima dell’’89 (anche se ovviamente, per ragioni anagrafiche, non potrei dirlo con certezza): si percepisce la diversità del socialismo, ma anche la pesantezza e l’oppressione dell’imposizione di un’ideologia; ci si sente confusi e divisi tra l’idea di uguaglianza sociale e un modo di attuarla che la ha, di fatto, infranta.

(Matilde Peterlini)

THE WALL

(foto Yuri Santini)

Per gli europei il muro con la M maiuscola è senza dubbio il Muro di Berlino. In effetti fa una certa impressione immaginare la città prima del 1989: separata da una parete, nemmeno tanto spessa, che spaccava in due non solo il centro urbano, ma famiglie, amici, conoscenti, uno Stato intero, il mondo intero… Oggi la città è cresciuta come una robusta pianta di edera sulle rovine del Muro e della struttura si sono conservati solo pochi tratti. Dove non c’è più ne è stato tracciato il passaggio sulla pavimentazione stradale: l’effetto è quello di un taglio cicatrizzato con ancora qualche crosta. A Postdamer Platz, piazza dall’architettura sbocciata dopo la caduta del Muro, ne rimane qualche lacerto. A Niederkirchnerstrasse il Muro si presenta probabilmente nelle spoglie più simili a quello che doveva essere: grigio, cupo, triste… c’è pure una scritta “Why?” (“Perché?”) in rosso, che da sola dice tutto. A Friedrichshain l’East side gallery conserva circa un chilometro e mezzo di Muro, minacciato costantemente di abbattimento per far posto a nuovi edifici. Esso si snoda come un serpente lungo la Sprea riportando alla mente il “Recinto” di Manuel Scorza: una separazione, una limitazione che sembra avere vita propria. Su questo tratto di Muro dopo il 1989 è stata dipinta una sequenza di murales che ha come tema l’abbattimento di tutti i muri: lo strumento, l’arma della separazione è divenuta così un inno alla condivisione e alla pace… è incredibile. Il cemento armato trasuda attraverso i colori vivaci e le immagini la tragedia della divisione e la gioia della speranza e della conciliazione e porta inevitabilmente a interrogarsi su tutti gli altri muri: muri caduti; muri fisici che dividono ancora (barriera di separazione israeliana, Peace Lines dell’Irlanda del Nord, Cipro…); muri non materiali – verbali, sociali, culturali, religiosi, economici – ma tutti che separano e provocano sofferenza quanto quelli reali…

(Matilde Peterlini)

DRESDEN

 

Dresda è una vecchia signora

con la sottana rattoppata

e il cappello a tese larghe,

è una ragazzaccia tranquilla

coi piedi nell’acqua

e i capelli nel vento,

che passeggiano

lungo il grande fiume.

Dresda è il suo fiume. L’Elba è il protagonista della città, non la lambisce, ma la attraversa e la città è cresciuta attorno a lui, grazie a lui. Il grande fiume scorre impermanente come il tempo e, proprio come il volgere degli eventi, ha scolpito la città. Il centro urbano appare spazioso e arioso, forse per la presenza di questo importante fiume, forse per l’ampio cielo che la sovrasta, i vasti spazi verdi o ancora per la piana leggermente ondulata che la circonda. La città vecchia, osservata dalla sponda opposta del fiume appare come un gioiello antico, sospeso sull’acqua: in gran parte distrutta a causa dei bombardamenti della II guerra mondiale, è stata ricostruita e, come una vecchia signora con la sottana rattoppata, è tornata ad essere il fiore del barocco e di Augusto il Forte. Il cuore della città vecchia è circondato però da edifici della ex-DDR ed edifici nuovi, evidenziando anche qui quella commistione che caratterizza molte città tedesche. Se la città vecchia appare come un centro prestigioso per l’arte ed elegante per i suoi negozi e centri commerciali, ciò che la circonda è ancor più sorprendente. La città nuova sulla sponda opposta dell’Elba, in gran parte risparmiata dalle bome, costituisce un quartiere, sebbene antico, molto più “alternativo”, con i suoi murales, il Kunsthofpassage, le botteghe di artisti e artigiani e un ritmo giornaliero estremamente gradevole. Qui la vita è in fermento, il quartiere pullula di gente giovane e famiglie e la sera si movimenta grazie ai numerosi ristoranti etnici e alle birrerie. Proprio i giovani sembrano essere oggi la forza di Dresda: l’ampio quartiere universitario sbalordisce per le sue dimensioni e raccoglie studenti da ogni dove… La città non perde però il suo carattere placido e tranquillo, scorre come il suo grande fiume e assieme a lui costruisce la sua storia…

(Matilde Peterlini)

SVIZZERA SASSONE

Torri di arenaria,

sono fortezze d’altri tempi,

sono forti dita di orchi sepolti,

che accarezzano le foreste

e proteggono il grande fiume.

Al crocevia tra Germania, Polonia e Repubblica Ceca c’è una foresta segreta e nascosta. Provenendo dalla piana, solo leggermente ondulata, della Sassonia e risalendo l’Elba è proprio il grande fiume a svelarcene l’esistenza. Ampie foreste ricoprono colli cinti da alte torri di arenaria e bizzarri giochi di roccia, vento e acqua. Ci si infila tra le rocce, si scoprono passaggi nascosti e scorci, si apprezza la pietra levigata alla vista e al tatto, si ascolta il vento, si sente l’acqua, si percepisce la terra. La mano dell’uomo ha potuto solo accarezzare queste rocce: la natura le aveva già scolpite. La sua forza ancestrale e il suo lento plasmare si sono insinuate nelle nostre menti facendo sgorgare fiabe di orchi e giganti e muovere l’animo degli artisti.

(Matilde Peterlini)

MOSTRA FOTOGRAFICA: NEL MENTRE MEDITATI ISTANTI

Vi segnaliamo un evento promosso da Pulchra – Percorsi Photografici, a cui Yuri Santini parteciperà come ospite:

fronte

http://www.pulchralab.com/