PORTFOLIO: BERLIN

Yuri e Matilde hanno pubblicato il portfolio dal titolo

“BERLIN”

sulla rivista

IMAGE MAG

foto – imaging – video – fine art

Storie di fotografi e di fotografia

numero di marzo-aprile (anno III n.02)

Foto: Yuri Santini – Testo: Matilde Peterlini

Image Mag è una rivista italiana bimestrale di grande formato che racconta storie di fotografi e di fotografia. Il magazine si compone di diverse sezioni: la “cover story” dedicata ogni numero a un grande autore della fotografia, (in questo numero Sebastiao Salgado); i racconti “lifestyle” che approfondiscono i segreti di chi ha fatto della produzione di immagini la propria professione e i portfolio di fotografi semi professionisti e di fotoamatori di grande livello, ai quali viene dedicato uno spazio importante e una cura estrema nella presentazione delle immagini. Non mancano naturalmente rubriche dal sapore più tecnico, che offrono aggiornamenti sulle tecnologie imaging, oltre ai pareri degli esperti dei negozi della catena Photop sulle attrezzature specializzate e sugli accessori. Image Mag in ogni sua caratteristica è stata studiata per enfatizzare il potere espressivo delle immagini, a partire dal formato oversize di 28×40 cm, alla raffinata carta ad elevata grammatura.

http://imagemag.it/

AH! LA CORSE…!

(foto: Yuri Santini)

 

Isola… il concetto di isola mi ha sempre inquiestata. Non vorrei mai vivere su un’isola: mi sentirei in gabbia, limitata, dipendente da traghetti e aerei per vedere nuovi orizzonti. Ma con che occhi gli isolani vedono i continenti? Si sentono perduti, indifesi? O, in fondo, i continenti non sono altro che isole molto grandi?

Certo, nascere e vivere in un universo parallelo come la Corsica non dev’essere facile o deve essere una scelta… e il viaggio me lo ha confermato.

La Corsica è un frutto succoso e invitante, ma dal sapore aspro e il nocciolo duro e amaro.

Il suo mare è un limpido lapislazzulo, è la voce irresistibile e attraente di una Sirena.

La macchia selvaggia è avventurosa e intrigante, ma ti lascia sempre il torso scoperto, al sole, e ti fa sentire costantemente un intruso.

E le montagne, inizialmente dolci e levigate, divengono ben presto spigolose e ostili, costellate di guglie pungenti e profonde forre, come un ammasso di rottami rocciosi rumorosamente spezzati e tenuti ora celati nel cuore taciturno e solitario dell’isola.

La natura primordiale, con il suo fascino ammaliatore, si contende, incessantemente, l’isola con l’uomo.

I corsi hanno imparato, nel tempo, a non fidarsi nè della natura nè dell’uomo: poche parole, molti sguardi. La Corsica è un luogo di relazioni arcaiche, complesse e mischiate, sottilmente percepibili: c’è qualcosa di sofferto, un dolore sommesso, un grido di ribellione soffocato che si mischia al profumo pungente e amaro del maquìs.

(Matilde Peterlini)

ALMANYA – Viaggio in Germania [work in progress…]

East side gallery

East side gallery (Yuri Santini)

BERLIN

Berlino
è
un mosaico di pezzi sbagliati,
un ammasso di storie,
un movimento continuo.
E’ un tronco
più volte
reciso
da cui spuntano
foglie.
Un pugno in un occhio.
Quest’essere
insolita
è la sua
magia.

(Matilde Peterlini)

BERLINO, PAESAGGIO CULTURALE

(foto Yuri Santini)

Nel visitare Berlino non ci si deve aspettare una città come tutte le atre. Forse è anche per il suo essere un centro urbano particolare e anomalo che a molti non piace, mentre colpisce altri in maniera spropositata. Innanzitutto non ci si deve aspettare un centro storico: gli edifici più antichi sono andati in gran parte distrutti e sono stati solo parzialmente ricostruiti o in pochi casi restaurati. Questo non vuol dire che Berlino non abbia una storia, anzi, qui il passare del tempo sembra ancora più evidente, come uno schiaffo. Probabilmente questo accade perché la storia recente della città è stata caratterizzata da eventi fortemente traumatici, che hanno inciso sul tessuto urbano segnandolo profondamente. Esso stesso soltanto, a saperlo leggere e decifrare, è in grado di narrare quanto accaduto. Il risultato è un paesaggio culturale estremamente interessante: la città sembra riflettere i fatti storici che la hanno caratterizzata accatastandoli in modo disordinato, con accostamenti surreali e inverosimili. Edifici ultramoderni sbocciano vicino ad antiche chiese, aree vuote si riempiono, altre variano la loro funzione in modo repentino… le rovine dei bunker della Gestapo sono sovrastate dai resti di un tratto di Muro, al di là del quale un vecchio palazzo della DDR verrà ridipinto a nuovo, mentre le gru che si innalzano alle sue spalle stanno costruendo un altro Sony Center… E’ un mosaico di pezzi sbagliati, accatastati apparentemente senza criterio: vecchio e nuovo, diroccato e splendente. Il risultato è esteticamente strano, però affascinante. Ma c’è di più, gli eventi storici che hanno percorso Berlino nell’ultimo secolo – dal nazismo, alla seconda guerra mondiale, dalla guerra fredda, alla caduta del Muro – la hanno resa una città in movimento: gli eventi distruttivi hanno richiesto una ricostruzione, la caduta di separazioni ha portato a un ripensamento del centro urbano e della destinazione d’uso delle sue aree. Berlino è così diventato un continuo cantiere, non è una città della quale si è congelato lo status quo, ma un centro in continua progressione e cambiamento, con particolare attenzione per le forme architettoniche ed artistiche che ne accompagnano lo sviluppo.  Il nuovo ha in parte sepolto e rielaborato ciò che rimaneva del passato, soprattutto recente e tragico come le vestigia del nazismo o del Muro. Può sembrare un sorta di damnatio memoriae, di un passato scomodo che si vuole spazzare via, ma forse è invece una voglia di andare avanti senza dimenticare e, in effetti, a guardar bene, non si perdono occasioni per ricordare attraverso l’arte, invitandoci a riflettere su quanto accaduto. Berlino risulta essere infine una fucina urbana non sempre logica e ordinata, ma pregna di vita e volontà di esprimersi, senza cancellare ciò che è stato, ma considerandolo la radice da cui crescere per guardare al presente e al futuro. La sensazione nel guardarla è quella dello stupore.. uno stupore strano, non una meraviglia positiva… piuttosto un senso di spaesamento!

(Matilde Peterlini)

DENKMAL FUR DIE ERMORDETEN JUDEN EUROPAS

(Memoriale per gli ebrei assassinati d’Europa o Holocaust-Mahnmal, Memoriale dell’Olocausto)

(foto Yuri Santini)

Ho sempre pensato ai monumenti contemporanei come a qualcosa di piuttosto obsoleto e “pesante”: a Berlino ho dovuto decisamente cambiare idea. I monumenti sorti a commemorazione della tragedia dei lager nazisti uniscono la struttura artistico-architettonica a un significato profondo. In più non appaiono come monumenti celebrativi e propagandistici, ma vogliono piuttosto stimolare un risvolto emotivo e riflessivo nel visitatore, agendo quindi su un piano diverso da quello della semplice commemorazione.

L’Holocaust-Mahnmal si trova in un’ampia piazza, l’estensione dell’area occupata dal monumento lascia già intendere l’enormità della tragedia che esso ricorda, ed è formato da una griglia apparentemente ordinata di parallelepipedi grigi. La disposizione ordinata dei blocchi si esprime in realtà solo in due dimensioni: essi hanno uguale lunghezza e larghezza, ma diversa altezza, o meglio profondità. Perciò entrando nella griglia lentamente si sprofonda circondati da parallelepipedi di altezza a mano a mano diversa.

Inizialmente l’ordine della griglia sembra quasi invitare a giocare: le svolte di 90° tra i blocchi offrono infatti la possibilità di apparire e scomparire repentinamente sbucando all’improvviso e molti si ritrovano a correre, nascondersi e prendersi. E’ bello vedere un monumento di questo tipo così pieno di vita: non c’è timore reverenziale o sacrale da parte dei visitatori, ma un memoriale di un’immane tragedia diventa luogo di vivacità e di vita.

Dopo questo primo approccio però si riconosce qualcos’altro: la griglia dei parallelepipedi, che inizialmente porta a una forma di divertimento, fa scomparire con i suoi angoli retti i punti di riferimento e quindi finisce ben presto per disorientare, pur essendo così ordinata. Sembra quasi rappresentare l’ordine di un regime, ben accolto da molti come la risoluzione dei problemi e il miraggio della felicità, ma che nasconde in realtà, nella sua dimensione non visibile cioè quella dell’altezza dei blocchi, il suo lato oscuro. E’ come se la regolarità rappresentasse la rigidità e l’eliminazione dell’altro, del “diverso”, del discordante imposta dal regime dittatoriale. La terza dimensione, la profondità, porta quindi il visitatore a provare l’esperienza emotiva di questo lato negativo. Immergendosi tra i blocchi infatti, dopo il primo momento del gioco e dell’ilarità, ci si sente gradualmente sempre più oppressi fino a provare una certa calustrofobia che sfocia nella sensazione, come direbbe Primo Levi, di essere “sul fondo” e non desiderare altro e in maniera irrefrenabile che risalire e uscire. Correndo fuori si prova un’incredibile sensazione di alleggerimento e liberazione, ci si sente risollevati come se ci si fosse scrollati una pesante ombra dalle spalle.

Questo quello che ho personalmente percepito, spero che Peter Eisenman concordi… sarebbe riuscito nell’intento!

(Matilde Peterlini)

OSTALGIE (Nostalgie dell’Est)

(foto Yuri Santini)

Da Dresda a Berlino il viaggio ha attraversato la ex-DDR e non ho potuto nascondere la curiosità nel voler esplorare questa recente realtà. Ho solo in parte potuto farlo: dal 1989 o le cose sono cambiate con grande velocità, cancellando ciò che era stato, o il socialismo non era poi così diverso. Credo più alla prima ipotesi, anche se appare incredibile come le persone e i centri urbani si siano in pochi anni trasformati e siano stati plasmati dalla nuova economia capitalista. Ho provato a percepire il diverso modo di vivere del socialismo cercandone le tracce, che sono lì, sotto gli occhi di tutti, ma in gran parte svuotate del loro significato: la Vita Cola è ancora sui banchi del supermercato, ma nello stesso scaffale della Coca-Cola; Sandmann è tuttora mandato in onda, ma è anche oggetto di “Nostalgic art”; i vecchi murales propagandistici stonano posti lì, di fronte alle insegne pubblicitarie del centro commerciale; i musei di “ostalgie” spuntano come funghi; le facciate dei palazzoni della DDR vengono rimbiancate fino a sembrare nuove palazzine; gli orti alla periferia di Berlino e Dresda sembrano graziosi giardini borghesi; le Trabant servono per “safari” nel centro urbano. La ex-DDR sembra insomma più un motivo di scolorito turismo, a metà tra la damnatio memoriae e la nostalgia (o “ostalgia”, “nostalgia dell’Est”, come dicono in Germania), che un elemento storico che ancora impregna la realtà. Mi sento in parte attratta dalla diversa esperienza di vita propria del socialismo, come alternativa al capitalismo, ma anche contrariata nei confronti della difficile attuazione della sua utopia, sfociata infine nella costrizione.

Un luogo forse rimasto ancora autentico e non del tutto svuotato del suo significato è il Memoriale per i soldati sovietici al Treptower Park a Berlino (Sowjetisches Ehrenmal – Treptower Park) dedicato ai caduti russi della battaglia di Berlino e costruito tra il 1946 e il 1949. Il monumento ha mantenuto un’aura di sacralità e presenta toni fortemente celebrativi e propagandistici, ma vale la pena una visita perché ci si trova improvvisamente immersi in un’atmosfera d’altri tempi. Tutto ciò è veicolato dallo stile prettamente sovietico-socialista del monumento: due portali monumentali fungono da ingressi; la statua della Madre Russia piange ancora i propri morti; due grandi “bandiere” triangolari in granito rosso, prelevato dai bunker nazisti, con tanto di falce e martello e soldati inginocchiati in segno di rispetto ai suoi piedi, aprono il sipario su un ampio cortile sui lati del quale si allineano le sedici are in pietra che rappresentano le Repubbliche Sovietiche; esse recitano rilievi propagandistici nei quali tutte le componenti della società si prodigano per la vittoria militare del socialismo e Stalin aggiunge il suo tocco con i propri detti, rigorosamente bilingui (russo e tedesco); sullo sfondo la statua  di un soldato russo che spezza con una spada una svastica e tiene in braccio il futuro sovrasta una cella nella quale la società sovietica, mosaicata sulle pareti interne, rende omaggio ai suoi caduti. Il tutto ha come contorno, per far apparire la scena ancor più veritiera, due fiori rossi appena deposti sulla lapide bilingue di dedica ai caduti e la presenza quasi esclusiva di nutriti gruppi di visitatori russi, con il loro idioma e il loro particolare modo di posare lo sguardo sulle cose, se non fosse per tre turisti toscani che discutono sul socialismo… cosa che stiamo facendo anche noi e, in effetti, il luogo non può che portare a una riflessione. Per un attimo infatti si ha veramente l’impressione di ritrovarsi a prima dell’’89 (anche se ovviamente, per ragioni anagrafiche, non potrei dirlo con certezza): si percepisce la diversità del socialismo, ma anche la pesantezza e l’oppressione dell’imposizione di un’ideologia; ci si sente confusi e divisi tra l’idea di uguaglianza sociale e un modo di attuarla che la ha, di fatto, infranta.

(Matilde Peterlini)

THE WALL

(foto Yuri Santini)

Per gli europei il muro con la M maiuscola è senza dubbio il Muro di Berlino. In effetti fa una certa impressione immaginare la città prima del 1989: separata da una parete, nemmeno tanto spessa, che spaccava in due non solo il centro urbano, ma famiglie, amici, conoscenti, uno Stato intero, il mondo intero… Oggi la città è cresciuta come una robusta pianta di edera sulle rovine del Muro e della struttura si sono conservati solo pochi tratti. Dove non c’è più ne è stato tracciato il passaggio sulla pavimentazione stradale: l’effetto è quello di un taglio cicatrizzato con ancora qualche crosta. A Postdamer Platz, piazza dall’architettura sbocciata dopo la caduta del Muro, ne rimane qualche lacerto. A Niederkirchnerstrasse il Muro si presenta probabilmente nelle spoglie più simili a quello che doveva essere: grigio, cupo, triste… c’è pure una scritta “Why?” (“Perché?”) in rosso, che da sola dice tutto. A Friedrichshain l’East side gallery conserva circa un chilometro e mezzo di Muro, minacciato costantemente di abbattimento per far posto a nuovi edifici. Esso si snoda come un serpente lungo la Sprea riportando alla mente il “Recinto” di Manuel Scorza: una separazione, una limitazione che sembra avere vita propria. Su questo tratto di Muro dopo il 1989 è stata dipinta una sequenza di murales che ha come tema l’abbattimento di tutti i muri: lo strumento, l’arma della separazione è divenuta così un inno alla condivisione e alla pace… è incredibile. Il cemento armato trasuda attraverso i colori vivaci e le immagini la tragedia della divisione e la gioia della speranza e della conciliazione e porta inevitabilmente a interrogarsi su tutti gli altri muri: muri caduti; muri fisici che dividono ancora (barriera di separazione israeliana, Peace Lines dell’Irlanda del Nord, Cipro…); muri non materiali – verbali, sociali, culturali, religiosi, economici – ma tutti che separano e provocano sofferenza quanto quelli reali…

(Matilde Peterlini)

DRESDEN

 

Dresda è una vecchia signora

con la sottana rattoppata

e il cappello a tese larghe,

è una ragazzaccia tranquilla

coi piedi nell’acqua

e i capelli nel vento,

che passeggiano

lungo il grande fiume.

Dresda è il suo fiume. L’Elba è il protagonista della città, non la lambisce, ma la attraversa e la città è cresciuta attorno a lui, grazie a lui. Il grande fiume scorre impermanente come il tempo e, proprio come il volgere degli eventi, ha scolpito la città. Il centro urbano appare spazioso e arioso, forse per la presenza di questo importante fiume, forse per l’ampio cielo che la sovrasta, i vasti spazi verdi o ancora per la piana leggermente ondulata che la circonda. La città vecchia, osservata dalla sponda opposta del fiume appare come un gioiello antico, sospeso sull’acqua: in gran parte distrutta a causa dei bombardamenti della II guerra mondiale, è stata ricostruita e, come una vecchia signora con la sottana rattoppata, è tornata ad essere il fiore del barocco e di Augusto il Forte. Il cuore della città vecchia è circondato però da edifici della ex-DDR ed edifici nuovi, evidenziando anche qui quella commistione che caratterizza molte città tedesche. Se la città vecchia appare come un centro prestigioso per l’arte ed elegante per i suoi negozi e centri commerciali, ciò che la circonda è ancor più sorprendente. La città nuova sulla sponda opposta dell’Elba, in gran parte risparmiata dalle bome, costituisce un quartiere, sebbene antico, molto più “alternativo”, con i suoi murales, il Kunsthofpassage, le botteghe di artisti e artigiani e un ritmo giornaliero estremamente gradevole. Qui la vita è in fermento, il quartiere pullula di gente giovane e famiglie e la sera si movimenta grazie ai numerosi ristoranti etnici e alle birrerie. Proprio i giovani sembrano essere oggi la forza di Dresda: l’ampio quartiere universitario sbalordisce per le sue dimensioni e raccoglie studenti da ogni dove… La città non perde però il suo carattere placido e tranquillo, scorre come il suo grande fiume e assieme a lui costruisce la sua storia…

(Matilde Peterlini)

SVIZZERA SASSONE

Torri di arenaria,

sono fortezze d’altri tempi,

sono forti dita di orchi sepolti,

che accarezzano le foreste

e proteggono il grande fiume.

Al crocevia tra Germania, Polonia e Repubblica Ceca c’è una foresta segreta e nascosta. Provenendo dalla piana, solo leggermente ondulata, della Sassonia e risalendo l’Elba è proprio il grande fiume a svelarcene l’esistenza. Ampie foreste ricoprono colli cinti da alte torri di arenaria e bizzarri giochi di roccia, vento e acqua. Ci si infila tra le rocce, si scoprono passaggi nascosti e scorci, si apprezza la pietra levigata alla vista e al tatto, si ascolta il vento, si sente l’acqua, si percepisce la terra. La mano dell’uomo ha potuto solo accarezzare queste rocce: la natura le aveva già scolpite. La sua forza ancestrale e il suo lento plasmare si sono insinuate nelle nostre menti facendo sgorgare fiabe di orchi e giganti e muovere l’animo degli artisti.

(Matilde Peterlini)